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Sulle Marche e i marchigiani: che cosa hanno detto di noi

Ascoli Piceno | Ha scritto il poeta Vincenzo Caldarelli:“ di essere marchigiani bisogna meritarselo”. Chissà se noi, sia oriundi sia di adozione, possiamo vantarci di essere almeno sulla buona strada."

di Elvira Apone

Le Marche

Dopo aver tentato di mostrare, a chi ha avuto la compiacenza e la pazienza di leggermi, attraverso la mia visione e il mio punto di vista, luoghi, monumenti e persone che, a mio giudizio, hanno reso e rendono meravigliosa la regione in cui viviamo, vorrei questa volta dare voce a qualcun altro e condividere con il mio eventuale pubblico di lettori pareri sicuramente più illustri e autorevoli del mio.

 Qualche giorno fa, ad esempio, mi è capitato di leggere un brano tratto dal libro “Storia delle Marche” del giornalista e critico Giancarlo Liuti. Vorrei riportarlo così come l’ho letto, non solo perché mi è piaciuto moltissimo, ma soprattutto perché mi sembra che racchiuda tutta l’essenza e lo spirito tipico della nostra regione: “Le Marche hanno la fortuna di sembrare inesistenti. Cioè di non sembrare. Non le conosce nessuno, a cominciare dai marchigiani. A Milano si crede che stiano ai confini dell'Africa, a Palermo le si immagina dalle parti della Svizzera. Non sono una regione, semmai quattro province. E non sono nemmeno quattro provincie: semmai duecento cinquantasei torri comunali. Hanno una capitale? Certo: Ancona. Ma andate a chiederlo agli ascolani, ai maceratesi, ai pesaresi. Risponderanno: "Ancona capitale? E dove sta scritto?".
Ogni tanto i tecnici della programmazione si mettono in testa di dividere le Marche in zone omogenee. Allora prendono una cartina e tracciano una linea: Nord e Sud. Ma non basta, ce ne vuole un'altra: Est e Ovest. Inutile, è appena l'inizio. Occorrono nuove linee, in qua, in là, sopra, sotto. Dopo un po' la cartina somiglia alla tela di un ragno impazzito. Di veramente omogeneo, nelle Marche, non c'è quasi niente. Forse soltanto il nome, che però, essendo al plurale, già allude al molteplice.”.

Penso che il Liuti sia riuscito in poche righe a descrivere al meglio l’indistinta e anomala eterogeneità che caratterizza le Marche, il molteplice che qui si esprime in una varietà di forme, colori, sapori, odori, paesaggi naturali, urbani e umani, la pluralità che da noi diviene un valore aggiunto, proprio perché rappresenta un’inestimabile ricchezza culturale, geografica e spirituale.

E veniamo ora al grande critico letterario Carlo Bo che, nel suo testo “Città dell’anima”, in cui sono raccolti “scritti sulle Marche e i marchigiani”, come recita il sottotitolo, esordisce scrivendo: “Conoscete le Marche? Siete mai stati o solamente passati per le Marche? Provate a rivolgere queste due domande quando vi capiti, la risposta sarà sempre la stessa: no, non ci siamo mai stati. Eppure è uno dei paesi più belli, più italiani che si possano dire: uno di quei paesi che meglio corrispondono all’idea e alla nozione stessa dell’Italia”.

Dunque una regione pressoché sconosciuta, come aveva ampiamente rilevato anche il Liuti, ma che, a detta di Bo, e non solo, riesce a racchiudere in sé l’intero nostro paese, una regione che Bo, marchigiano d’adozione, ben conosceva e amava e a cui ha dedicato moltissime pagine dense di calore emotivo. Lui parla anche di un forte legame tra i luoghi e le persone, di un miracoloso connubio tra la natura e la popolazione marchigiana, proprio a voler sottolineare quanto le Marche siano un po’ anche lo specchio di quell’umanità muta e laboriosa, forse talvolta addirittura superba nella sua distaccata ritrosia, che le abita.

Insomma, una sorta di microcosmo, quasi sospeso a mezz’aria, in una posizione geografica spesso fraintesa e poco nota, in cui però ogni cosa è indissolubilmente legata all’altra in una maniera sorprendentemente naturale, senza forzature o stonature. È un mondo, un po’ appartato dal resto d’Italia, in cui la storia sembra essersi dispiegata con un ritmo più lento, in cui il passato ha lasciato forti tracce senza, però, intaccare e ledere il presente e, forse, senza compromettere il futuro. E tutto questo lo percepiamo, lo tocchiamo con mano, lo vediamo concretamente ogni volta che abbiamo la possibilità di girare per la nostra regione, abbracciando con uno sguardo stupito, come se fosse sempre la prima volta, tutti quei borghi arroccati sulle verdi colline, perfettamente in armonia con la natura circostante, tutti simili tra loro, eppure ciascuno diverso e ben distinguibile nella sua peculiare individualità.

Significative sono anche le parole dello scrittore Dino Garrone che, nel suo libro dal titolo “Terra di Marche”, descrive i marchigiani come un popolo discreto e misurato, leale, tenace e sincero, che mai si abbandona agli eccessi: “…gente di atteggiamenti e costumi non convulsionari ma pacati, di maraviglia lenta ma fervida, di non ingenui trasecolari, non perditesta ma di vigilante coraggio. Di pugno rado, ma sodo, di riso non pazzo ma schietto…”.

 Ha scritto il poeta Vincenzo Caldarelli: “ …di essere marchigiani bisogna meritarselo”. Chissà se noi, sia oriundi sia di adozione, possiamo vantarci di essere almeno sulla buona strada.

10/11/2014





        
  



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