Le tracce sulla sabbia di Lana Del Rey
San Benedetto del Tronto | Lana Del Rey "Ultraviolence"
di
Lana Del Rey
"Ultraviolence"
Il potere della Rete ha fatto sì che la 28enne Lana Del Rey, al secolo Elizabeth Woolridge Grant, diventasse una vera e propria star virtuale con le sue canzoni di debutto pubblicate su "Born to die", due anni fa. La ragazza si era già espressa in passato col suo vero nome per cui "Ultraviolence", in uscita la prossima settimana, è in realtà il suo terzo lavoro discografico nato dall'esplosione di consensi del popolo di Vevo (oltre 100 milioni di visualizzazioni in tutto il mondo). Con una voce di velluto sintetico Lana Del Rey ha la grande capacità di cantare le sue canzoni facendo sembrare ognuna la copia dell'altra per cui, nel caso centrasse un bel motivo, sottolineato dalle solite immagini patinate di modella tentatrice, sarebbe da cogliere come un piccolo fiore di campo per la gioia (beato chi gode) dell'ascoltatore.
"Ultraviolence" non smentisce assolutamente le impressioni del passato. Nonostante la durezza degli argomenti trattati -tra stupro e maltrattamenti, tristezze e depressioni- la voce ovattata e sussurrata della ragazza omologa temi e suoni con una lamentazione stucchevole (soprattutto nella prima parte) che annoia terribilmente chi dovesse ascoltare il disco per intero. Quello che fa difetto a Lana Del Rey è proprio la composizione della forma canzone. Nel suo repertorio ogni brano sembra valere l'altro e nessuno si stacca dal resto. Segno evidente di una carenza senza fondo di idee e di guizzi. E non è la voce il suo punto debole perché quando canta ad esempio "Pretty when you cry", che sembra una rivisitazione di "Ne me quitte pas" di Jacques Brel, riesce persino ad essere meno piatta e più convincente. E lo dimostra anche nel bellissimo motivo che intitola "Old money", preso da Nino Rota e tratto dal tema d'amore di "Romeo e Giulietta" di Franco Zeffirelli. Il timbro è adatto e soprattutto convincente nel tono scuro di quelle corde vocali quasi malate. Canta con sufficiente convinzione anche nella cover di "The other woman" (scritta da Jesse Mae Robinson e cavallo di battaglia della Nina Simone del superlativo live "Nina at Town Hall" del 1959 e dell'omonimo album del 1968) ma lentamente si perde e si appiattisce nonostante il faro maestro illuminante di Nina e dei suoi piccoli e preziosi gorgheggi.
Solo in "Black beauty" Lana Del Rey riesce a dare un briciolo di emozione con un formidabile attacco e con atmosfere dai colori cinematografici (vedi alla voce Angelo Badalamenti/David Lynch/Julee Cruise) del suo canto guidato, nella produzione, da Dan Auerbach dei Black Keys. Forse qualche lezione da più autorevoli maestri farebbe bene a Lana Del Rey.
Voto 6/10
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13/06/2014
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