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L'eleganza di Roddy Frame dai giorni degli Aztec Camera ad oggi

San Benedetto del Tronto | Roddy Frame "Seven dials"

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Roddy Frame

"Seven dials"

Lo scorso dicembre Roddy Frame ha voluto rendere omaggio al suo pubblico per celebrare i primi giorni discografici degli Aztec Camera che non 1983 pubblicavano il loro interessante album d'esordio, "High land, hard rain". Tre serate di concerti per il trentennale di quel disco con l'intero album riproposto con gli arrangiamenti odierni. In quell'occasione il cantante annunciò l'uscita di questo lavoro solistico che vede la luce in questi giorni con la produzione di Seb Lewsley che di recente ha ripreso sulle sue spalle anche il vecchio amico Edwyn Collins. "Seven dials", registrato proprio nello studio di Collins, arriva dopo otto anni di silenzio per l'ormai cinquantenne scozzese Roddy Frame (è il quarto disco solistico), un silenzio interrotto però con una paio di lavori nel 2006/07 registrati dal vivo a Londra e in Giappone.

Roddy Frame resta un grande collezionista di chitarre che usa in mille maniere a dimostrazione di un songwriting pop di vera classe espresso quasi esclusivamente come in un linguaggio folk. E' estremamente delicata la sua emissione vocale e si sposa magnificamente con belle composizioni come "Rear view mirror", "The other side", "In orbit" o "Postcard" e la chiusura bellissima di "From a train" (l'avrebbe apprezzata molto Frank Sinatra) che fa ripiombare l'ascoltatore in una visione anni Ottanta leggera come buona parte del pop inglese di quegli anni. Sa guardarsi indietro Roddy Frame ma non riesce ad essere nostalgico né patetico. E' diventato cittadino londinese a tutti gli affetti e ama alla follia le strade dickensiane di Seven Dials, l'incrocio del West End, tra lo Shaftesbury Theatre e il Covent Garden ("seppellitemi a Seven Dials così la mia anima non riuscirà a trovare la strada per tornare indietro verso i tuoi baci" canta in "Into the sun".

C'è una buona dose di malinconia lontana dalla tristezza in queste canzoni che fanno il verso ai colori e ai timbri vocali di un giovanissimo Elvis Costello, ai toni americani di un vecchio Billy Joel o all'intensità del geniale ultimo Damon Albarn. Quando canta "English garden" Frame avvolge l'ascoltatore con una grande morbidezza capace di cullare senza mai banalizzarsi. Egli possiede lo stile dei grandi nonostante briciole di autoreferenzialità. Riesce con un pugno di accordi a sfiorare il classico. Ha bisogno di poco Roddy Frame per conquistare con il suo stile e la sua eleganza. A volte egli si lascia andare un pochino perdendo la concentrazione sulla scrittura perfetta e per questo non gridiamo al miracolo per "Seven dials" che resta però un lavoro di somma eleganza che si apprezza ascolto dopo ascolto e che si fa perdonare qualche piccolissimo neo.

Voto 8/10

21/05/2014





        
  



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