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Andrea Concetti, canto con anima

Grottammare | Intervista al basso grottammarese. In preparazione i ruoli mozartiani di Figaro e Don Giovanni

di Giovanni Desideri

Andrea Concetti in scena

“Anima”: è la parola che Andrea Concetti sottolinea con più forza nel suo discorso. Il basso grottammarese, diplomato al conservatorio di Pesaro, 40 anni il prossimo 22 marzo (“quel giorno canterò nel Requiem di Mozart ad Ancona”), è uno dei massimi cantanti lirici italiani sulla scena internazionale. Nei giorni scorsi “Colline” nella Bohème andata in scena al Teatro delle Muse di Ancona, prossimamente impegnato nei ruoli mozartiani di Figaro (a Parigi) e Don Giovanni (Cagliari, 27 febbraio e 4 marzo).

I due ruoli mozartiani danno una svolta alla sua carriera?
“È un momento veramente importante, ma non solo per questi due ruoli. Più in generale, infatti, sto inserendo nella mia carriera un repertorio più serio e cantabile, dopo aver impersonato principalmente ruoli comici-buffi. Colline è un ruolo serio. Don Giovanni è un personaggio con grande vocalità. Quest’anno sarò anche a Strasburgo con l’Incoronazione di Poppea di Monteverdi, diretta da Rinaldo Alessandrini. Poi Figaro, ad ottobre: un ruolo che inseguivo da tanto tempo. In una città come Parigi, in più, e in un teatro come quello degli Champs Elysées che adoro alla follia: per il modo di lavorare, l’organizzazione, l’acustica del teatro, la città in generale.”

Con chi lavorerà nei ruoli di Figaro e Don Giovanni?
“Nelle Nozze di Figaro a Parigi con l’orchestra Camerata Köln diretta da Evelino Pidò. A Cagliari il Don Giovanni sarà sotto la direzione di Gerard Korsten, con l’orchestra dello stesso Teatro Lirico. Si tratta di un allestimento storico di Strehler ripreso dalla regista Marina Bianchi. Mi alternerò nel ruolo del protagonista con Ruggero Raimondi.”

Qualche melomane, scherzando, sostiene che la musica lirica sia tutta nell’arte di Mozart.
“Non condivido questi estremismi, perché ogni autore rappresenta un periodo e si serve di strumenti espressivi diversi. Mi rendo conto che il teatro di Mozart è quasi la perfezione, per l’aderenza tra testo e musica. Don Giovanni, Le nozze di Figaro e Così fan tutte sono opere perfette: quasi da non poterne immaginare altre così perfette. Ma questo non vuol dire che la Cenerentola di Rossini o il Falstaff di Verdi non siano buone opere. Non ho mai amato le hit parade e non sento il bisogno di dire che un’opera mi piace più di un’altra. Salvo i gusti personali: mi piace Pagliacci di Leoncavallo per la musica adatta al tipo di rappresentazione, che pure è “esteriore”: fatta di gelosie, delitti, ecc. Non mi piace invece Cavalleria rusticana, ovvero certo verismo di alcuni musicisti italiani, tendente al melodramma nel senso deteriore del termine. O certo ‘900, che infatti non ho approfondito per scarso interesse da parte mia. Diciamo che prediligo una certa stilizzazione.”

Nel pubblico permangono ancora “tifoserie” come quelle dei verdiani e dei pucciniani.
“Non vedo perché Verdi e Puccini debbano essere avversari. A me piacciono molto entrambi e penso che sbaglino coloro che banalizzano Puccini ritenendolo solo un sentimentale o coloro che banalizzano Verdi ritenendolo autore di marcette “zum-pa-pa”.”

Aaron Copland si diceva ottimista, negli anni ’50, sul fatto che sarebbero sempre sorte nuove opere. Condivide tale ottimismo?
“Mi sembra che almeno in Italia l’opera sia diventata un fatto un po’ archeologico. Questo dipende anche dalle città. È un segno triste che a Roma, che dovrebbe essere la più importante piazza italiana, il teatro rimanga semivuoto appena proponi un titolo non consolidato. Non si vive di sola Bohème. Positivo, invece, che ad Ancona i primi due titoli della stagione di quest’anno, The Flood di Stravinskij e L’enfant et les sortilèges di Ravel, abbiano fatto il pieno. Diciamo questo: in Italia raramente si va al di là di Stravinskij, mentre all’estero si fa molta musica contemporanea. Ma in generale non so quanto sia viva la composizione operistica. Non vedo una grande produzione contemporanea. Credo però che sarebbe già un miracolo salvare l’attuale situazione.”

Colpa del pubblico?
“Indubbiamente il pubblico si sta imbarbarendo: c’è meno curiosità e sensibilità artistica che in passato. Avvicinarsi a un’opera, anche semplice come la Bohème, richiede almeno l’impegno di seguire il libretto. E per molti è già un ostacolo insormontabile. Poi in Italia abbiamo una scuola in cui si leggono I promessi sposi ma si ignora chi fossero Verdi e Puccini. La storia della musica è completamente bandita dai programmi scolastici. Il melodramma italiano è invece molto più importante dei Promessi sposi, specie in Italia dove non abbiamo avuto il Romanticismo di altri paesi.”

Nutre lo stesso pessimismo per il panorama musicale in generale? Il solito Boulez direbbe che dopo Frank Zappa la qualità si è pressoché azzerata.
“Non seguo molto la musica rock o quella commerciale, ma ho la sensazione che si salvi semplicemente il messaggio che arriva e colpisce prima, come uno spot pubblicitario o uno spot elettorale. Confezionati per arrivare subito al destinatario. Questo mi sconvolge. Diventeremo tutti americani? Avremo opere cantate solo da Bocelli?”

Altri lamentano che ci siano sempre meno cantanti lirici italiani validi e ancor meno che siano capaci di cantare in lingue diverse dall’italiano.
“È vero. Ci sono molti più stranieri che vengono a cantare in italiano in Italia che il contrario. Si sta perdendo la scuola di canto italiana. Ma si deve distinguere tra star system e attività nei teatri. Oggi il mercato discografico operistico è saturo. E quindi sta usando tutti i mezzi possibili per restare vivo. Ma siccome non ha senso incidere un’altra Bohème o un’altra Traviata, case come la Deutsche Grammophon hanno capito che devono puntare sull’immagine dei cantanti, prima ancora che essi abbiano cantato in tutti i teatri del mondo, come invece hanno fatto la Callas o la Caballé. Oggi il pubblico stesso è cambiato: consacra una diva, magari per la bellezza, prima di conoscerla nei teatri. Ma che senso ha comprare un cd di arie famose? Tutto sta diventando mercato. Con l’eccezione di una Cecilia Bartoli, che ha approfittato del suo potere discografico per fare ricerche e proporre un repertorio molto intelligente, di opere mai rappresentate o sconosciute. Ora, detto questo, c’è una nuova generazione di cantanti di ottimo livello, che sono al di fuori del mercato discografico, ma infiammano le platee: Daniela Dessì, Anna Caterina Antonacci, Patrizia Ciofi. Io stesso sto cantando a Parigi e Berlino quasi ogni anno.”

Com’è nata la sua collaborazione con Claudio Abbado?
“A Ferrara, nel ‘99. Ero cover di Ruggero Raimondi. Per una delle ultime repliche mi chiamano: “Raimondi non viene”. Così mi sono ritrovato sul palco a sostenere l’intero ruolo di Falstaff senza aver mai provato con Abbado. Al termine della rappresentazione mi ha chiamato nel suo camerino dicendomi che era molto contento e che aveva una piccola parte nel Simon Boccanegra, che in seguito abbiamo rappresentato per quattro anni, a Berlino, Salisburgo, Ferrara e Firenze. Poi nel 2000 e nel 2004, sempre con Abbado, ho avuto molto successo impersonando Don Alfonso nel Così fan tutte. Da lì la mia vita è cambiata.”

Come le sembra la vita musicale nelle Marche?
“Nella provincia di Pesaro-Urbino abbiamo il Rossini Opera Festival che è un festival importantissimo. A Macerata la stagione estiva dello Sferisterio, di una certa dignità. Ad Ancona il Teatro delle Muse è riaperto da 2-3 anni e il livello è stato subito altissimo. Pur non godendo di contributi statali come “teatro di tradizione”, ad Ancona non hanno risparmiato sulle regie, le scene, gli interpreti. Non so come facciano. Invece sono addolorato per il Teatro di Ascoli: lo scorso anno ho assistito ad una Traviata che era poco più di un saggio parrocchiale. Stando all’estero non leggo molto la stampa locale, ma ho l’impressione che in questa zona si insegua una visibilità superficiale. Si è contenti con Miss Italia o il Festivalbar o la minima ripresa TV. Si fanno scelte troppo “velinesche”. Nonostante la provincia di Ascoli sia bellissima e ricchissima di cultura, in questo momento sembra un cadavere senza sangue.”

Colpa dei politici o della stessa popolazione?
“Forse entrambe le cose. Ma lo Stato dovrebbe formare le coscienze, un’anima civile, l’anima di un popolo, tramite gli strumenti dello studio e della cultura: cose ritenute “inutili”. Meglio studiare cose inutili che preparare al lavoro. Dopo essermi diplomato ragioniere, nessuna azienda mi avrebbe mai affidato il compito di redigere il proprio bilancio.”

Durante la campagna elettorale del 2003 a Grottammare lei aveva inviato un messaggio di auguri alla lista “Solidarietà e Partecipazione”, che poi ha vinto le elezioni. Nel frattempo Massimo Rossi, ex sindaco di Grottammare, è diventato presidente della Provincia. La vedremo collaborare con questi due enti?
“Nel 2003 mi era stato chiesto di mettermi in lista, ma non mi sembrava serio farlo, perché sapevo che non avrei trascorso molto tempo a Grottammare. Però ho dato e confermo la mia massima disponibilità per iniziative culturali, per quel che posso. In un piccolo centro non credo abbia molto senso allestire un’opera, ma si può ragionare su altro. Aspetto di sapere, per esempio, se il nuovo teatro comunale avrà una buona acustica. Quanto a Massimo Rossi, ne ho una grandissima stima e confido molto in lui.”

24/01/2005





        
  



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