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S. Maria di Manù: la chiesa della Madonna della fertilità

Lapedona | La storia della chiesa di S. Maria di Manù dalla quale prende il nome anche la stessa contrada in cui è collocata, si lega a quella che fu la vicenda del castello Barbolano di Altidona, zona molto ricca di storia e testimonianze antiche

di Martina Marini

Maria di Manù

La storia della chiesa di S. Maria di Manù dalla quale prende il nome anche la stessa contrada in cui è collocata, si lega a quella che fu la vicenda del castello Barbolano di Altidona, zona molto ricca di storia e testimonianze antiche. Questo gioiellino immerso nel verde tra il cielo e il mare, sottostante, sembra datarsi a prima dell’anno Mille. Della sua nascita, al momento, non si possiede alcun documento a causa del susseguirsi delle invasioni che invasero il territorio circostante e il castello stesso, al tempo dei romani e non solo.

Molte proprietà del territorio di Barbolano furono distrutte e rase al suolo e con esse andarono perduti anche i documenti di rilevanza storica che ci avrebbero potuto aiutare a ricostruire la storia della chiesa. Risulta tuttavia l’importanza della chiesa di S. Maria di Manù, che si erige, pare al tempo dei romani, in territorio di Lapedona, lungo la strada che collega il paese al mare, su di una collinetta sovrastante alla località di S. Biagio. La zona, in cui sorge, ha subito, nel corso dei secoli, diversi avvicendamenti concernenti la priorità sia del castello a cui apparteneva, sia ai terreni circostanti, sia delle varie chiese sparse nei territori di Altidona, Lapedona e zone di S. Biagio. Tra questi possedimenti troviamo proprio la chiesa di S. Maria, come attestato dall’elenco dei beni che il castello aveva. La sua posizione, ancora oggi, appare strategica e di controllo del sottostante ex scalo marittimo di S. Biagio, che, nell’Alto Medioevo consentiva i vari scambi commerciali e conservava la sua importanza per i suoi traffici con l’Oriente. Inoltre in epoca romana ospitava anche una fiorente fabbrica di anfore.

Pur essendo in un comune diverso, la chiesa di S. Maria era di proprietà della parrocchia di Altidona, che cercava di gestirla, seppure a distanza. Questo controllo si ebbe fino al 1032, quando la “Abbatissa de monasterio di S. Marie”, Ramburga, cedette alcuni beni e proprietà “pro fratibus et sororibus in monasterio S. Benedicti qui aedificatum est in Castro Casino” (Regestrum Petri Diaconi, n. 283, fol.128). In questo modo la chiesa passò ai monaci benedettini di Montecassino. Ciò è documentato anche dalle lamine in bronzo che sono presenti nella porta della basilica, sopravvissuta ai bombardamenti dell’ultima guerra, dove sono stati incisi i nomi della proprietà della stessa, tra cui anche quello di Barbolano (et castellum de Bubalano). 

Questo possedimento fu confermato da Corrado II nel 1038, da Enrico III nel 1047, da Enrico VI nel 1191. 
Nel 1244 ne erano signori proprietari Trasmondo e Corrado Lopi di Altidona ( Storia di Altidona di G.Nepi). Ai monaci di Montecassino seguirono nel 1314, i monaci di Farfa e infine, venne riacquistata dalla marca fermana che l’avrebbe gestita meglio e con maggior cura, vista anche la vicinanza al territorio dove la chiesa è situata. Prima di tale vicenda storica, sembra che la piccola chiesa di S. Maria, fosse stata destinata ad edicola romana. Essa si presentava infatti, come un piccolo luogo di culto per i pellegrini che, venendo in viaggio o sbarcando nel porto di S. Biagio, la vedevano scorgere su questa collinetta dove è sita e trovavano il tempo per andare a visitarla. 

Qui gli stessi potevano pregare in pace e silenzio circondati dagli affreschi che adornavano la chiesa a quel tempo. 
Oggi, purtroppo, non rimane nulla se non un affresco all’interno della Madonna che allatta il Bambino, ma che si sta perdendo del tutto. La piccola chiesa di S. Maria è in puro stile romanico, costruita in conci di arenaria è abbellita da una serie di archetti pensili appena abbozzati sotto la line a di gronda. Ha un abside semicircolare ed è rivolta a oriente. L’ingresso si trova attualmente sulla parete meridionale, mentre prima era nel lato Nord come sembra dai segni che ancora permangono nella stessa parete. All’interno vi è presente un’unica navata e ad est l’altare maggiore in pietra. 

Alle pareti vi sono delle finestrelle color onice dalle quali filtra un po’ di luce, anch’esse in stile romanico per dimensione e struttura a fessura allungata. 
La chiesa venne costruita in onore di Maria e ciò è provato, oltre che dal nome della stessa, anche dalla presenza dell’affresco di cui sopra che sembra resistere ancora dopo tutti gli anni passati. Nel ‘500 la chiesa di S. Maria è stata ristrutturata e al suo interno è stato arricchito da un Polittico al noto miniatore veneziano Cristoforo Cortese che realizzò tale opera proprio per la chiesa di S. Maria intorno al 1439-1441. In esso sono raffigurati, oltre che la Madonna con il Bambino, i santi Caterina d’Alessandria, S. Eleuterio, S. Ciriaco e S. Antonio abate. Da un documento del 1554, il nome della chiesa di S. Maria di Manù o dei Manuni risulta come la specificazione del nome sia stata aggiunta dopo e che inizialmente la chiesa era semplicemente di S. Maria, dedicata interamente alla Madonna.

Il mistero del nome sembra essere stato svelato dalla scoperta di un’incisione che sembra essere presente nella prima formella collocata sotto il cornicione della chiesa, abbellita con motivi floreali (fiore che assomiglia ad una margherita con 8 petali). L’incisione è in ebraico antico e si traduce con “Man-hu”- che cos’è questo? Da “men” che diventa “man” e che sta a significare la non conoscenza di qualcosa e “hu” che invece traduce in italiano il questo. Ovviamente non è attestato storicamente che il nome derivi proprio da questa incisione, sta di fatto che l’incisione è visibili e sembra spiegare bene l’aggiunta al nome originale della chiesa. La parola Manù è stata legata a quello che è il mistero eucaristico che si ricollega a sua volta al dipinto che è presenta all’interno di tale chiesa dove la Madonna si trova ad allattare il Bambino.

Dai recenti studi condotti sulla parola manù, grazie alla scoperta di tale incisione è venuto fuori un altro mistero che rimane ancora tale, ossia il fatti che tale incisione sovrasta quella che è la figura della margherita ad 8 petali, un simbolo molto forte nella tradizione dei Templari. Quest’ultimi erano molto soliti utilizzare tale simbolo, anch’esso rappresentante la vita e il nutrimento. Non possiamo accertarci del fatto che siano passati per la chiesa di S. Maria , anche perché nel Medioevo gli antichi medievalisti erano soliti utilizzare sempre, nella costruzione delle case o di qualunque edificio, scarti del materiale edile e dunque è possibile che tale formella sia stata presa da vecchi materiali utilizzati in precedenza, ma può anche darsi che sia un simbolo templare e dunque una possibile traccia nel nostro territorio. 

I templari oltre ad essere i guardiani del tempio d Salomone erano anche guardiani di tesori religiosi che erano sparsi per il mondo. 
Tra questi anche l’urna della manna, un contenitore d’oro che sembrerebbe contenere la manna, il cibo salvifico di cui sopra. Al di là di queste ipotesi, è sicuro che il mistero eucaristico, all’interno della chiesa di S. Maria è molto forte, non solo per il dipinto che è presente al suo interno, ma anche per la pianta di mandorlo che si trova all’esterno della chiesa collocata alla sua sinistra e che sovrasta la stessa.

27/01/2015





        
  



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