Volo su Roma, il Primo Maggio
Roma | Ondeggia una bandiera rossa, altezzosa su un banco di T-shirts fuori moda. E’ il 1° maggio e Piazza San Giovanni è gremita di giovani, i protagonisti di uno splendido quadro di freschezza dalle più svariate tonalità, dal blu oltremare al verde speranza.
di Alice Galasso
primo maggio
Dalla Sacrosanta Cattedrale Papale Arcibasilica Romana Maggiore del Santissimo Salvatore e dei Santi Giovanni Battista ed Evangelista al Laterano le gigantografie di un Wojtyla e di un Angelo Roncalli - alias Giovanni XXXIII- canonizzati novelli, perscrutano il palco e se ne stanno immobili ad ascoltare l'intonazione di un "Bella ciao". Quasi non si lasciano trascinare, anche loro, dall'entusiasmo dei comuni mortali.
E non ci si dimentica, no, di una società che crolla sulle nostre teste: un Pelù sfrontato non a caso esordisce con un trionfo di invettive contro il perbenismo ipocrita dell'attuale governo, un Pelù poi oggetto di forti polemiche. Alla fine, si sa, ogni tentativo di critica costruttiva è vanificato, sommerso in un mare di chiacchiere provinciali e conservatrici. La politica, questa sconosciuta, prima "polis" ed ora gossip scialbo, è un termine abusivo - come lo sono tanti contesti in questo Paese - che troppe volte viene scomodato.
La bandiera rossa è ancora lì, dove prima l'abbiamo lasciata, eppure non sventola con la stessa sicurezza: il vento non fischia più. Per un giorno, uno solo, si è respirata quell'aria salubre che gonfiava le strade un trentennio fa quando noi della generazione digitale non eravamo ancora neanche un'idea, quell'aria che tanto ispirava i cantori delle proteste giovanili come Guccini o De André."... e i CCCP non ci sono più da un bel po' ...", canta Vasco Brondi in un elogio un po' nostalgico allo storico gruppo punk che dagli anni ‘80 in poi ha sovvertito lo scenario musicale italiano, propinando uno stile di vita fuori da convenzioni e schemi ed emozionando - nonostante un lampante orientamento filocomunista - un vastissimo pubblico sia da sinistra che da destra.
L'impegno sociale, prerogativa di artisti atavici ormai decaduti - o addirittura deceduti - è oggigiorno pressoché svanito non solo sui palcoscenici, ma anche - e soprattutto - tra gli spettatori. Ciò che resta sono delle eccezioni, storpiate all'infinito e poi vanificate dai media. Comunque l'interesse generale si riduce ormai a una dose massiccia di lamentele: lamentele nel bel mezzo di un discorso al bar con gli amici dopo la partita, lamentele per i corridoi del liceo durante la ricreazione, lamentele dal panettiere, lamentele con il passante alla fermata dell'autobus ... Insomma la rimostranza è diventata un habitus mentale, si è insinuata talmente nella nostra quotidianità che talvolta la si pronuncia anche con leggerezza. Se si somma, poi, questa assordante tiritera con passività e cattiva informazione - disinformazione - e la si moltiplica per qualche decina di milioni di persone, si otterrà un numero negativo, il regresso.
"Libertà è partecipazione" cantava Gaber. E non era un caso.
E‘ diventata così scontata, la libertà? Forse può ben calzare questa condizione di generale inattività una tipica espressione in uso in Francia negli anni '50 - '60, "métro, boulot, dodo" (letteralmente "metropolitana, lavoro, nanna"), in riferimento, appunto, al ritmo macchinale del quotidiano.
Ma possiamo veramente inferire che quest'ultimo sia il principale fattore di assopimento dell'opinione pubblica? Non proprio, sarebbe una conclusione semplicistica, se pensiamo alla sovrabbondanza di notizie - a volte tra loro contraddittorie - che girano sul web o in televisione, le quali ci danno una visione parziale dei fatti. Diciamo, poi, che la tensione ad omologarsi ad un certo "scetticismo di massa" è ormai spontanea. Tuttavia un deterrente ancora presente sul mercato, anche se su piccola scala, è il senso critico, questa latente capacità innata dell'essere umano. Sfruttarla è il primo passo verso la costruzione di un pensiero proprio, primo motore della circolazione delle idee.
Il confronto, il dibattito sull‘attualità, l'aggregazione dovrebbero essere incentivati prima di tutto a Scuola, ma anche all'esterno, dedicandovi magari degli spazi sul tessuto cittadino, organizzando incontri in cui poter scambiare opinioni e idee. D'altronde non è nulla di nuovo: lo facevano anche nel ‘700. Ed è vero che in molti Paesi ciò non è possibile a causa di situazioni politiche totalitarie; noi possiamo disporre, invece, del nostro spicchio di democrazia.
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08/05/2014
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