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Il folk di casa Ben Harper

San Benedetto del Tronto | Ben & Ellen Harper "Childhood home"

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Ben and Ellen Harper 

"Childhood home"

Tra i luoghi comuni dell'Italia nel mondo, oltre gli spaghetti e il mandolino, si cita sempre la mamma. Analogamente negli Usa dobbiamo inserire il termine "home". E' così forte il concetto (vale per "casa" intesa come unità familiare, focolare domestico e intimità) che gli anglosassoni hanno sentito il bisogno di crearlo per non confonderlo con "house" (l'edificio fisico). Quello che per noi è la "mamma" per gli statunitensi è la "home", un luogo presso cui tornare ad ogni svolta della vita o al giro di un semplice anno come avviene per la tradizione natalizia. E' il tempo del ritorno, del rifugio nella "home" per rafforzare quell'unità.

Nel piccolo sogno del figlio Ben Harper è balenata l'idea di unire tutti questi concetti e di tradurli in un'opera musicale. E così, nella foto di copertina del suo nuovo album, Ben Harper, eccellente autore folk-blues-rock nel cui sangue scorre una multirazzialità fatta di afroamericani, nativi Cherockee, lituani e ebrei, trionfa la sua casa paterna dove ritrova sempre il calore, il passato, l'infanzia e la mamma Ellen. In quello stesso passato dell'artista affondano anche le radici musicali. Infatti furono i nonni a fondare il museo del Folk Music Center a Claremont in California, diventato anche negozio di musica e scuola visitata in passato da artisti di fama come Ry Cooder e David Lindley. La stessa mamma di Ben Harper è una autrice di canzoni folk e una polistrumentista di talento nonché prima maestra dell'artista. E' nata così ad Harper l'idea di produrre un disco con sua madre, compositrice di quasi metà dell'album e cantante solista o in duetto.

E nel primo brano dei dieci presenti qui i concetti, a differenza di Burt Bacharach autore della famosa "House is not a home", trovano unità ("A house is a home"). "Childhood hood" è essenzialmente un lavoro di canzoni folk che non hanno orpelli di sorta. Pochissimi strumenti e linee essenziali melodiche che però nulla aggiungono ai quintali di materiale che la storia del folk americano ci ha tramandato. Più che un lavoro di composizione creativa il disco sembra un esercizio, spesso banale, di stile che avrebbe potuto restare chiuso tra le mura della casa d'infanzia, magari adatte al concertino di natale in una famiglia di musicisti da pubblicare come omaggio ai fans dell'artista in qualche cofanetto per collezionisti. Di fronte a dischi così Peter, Paul and Mary, Joan Baez, Pete Seeger, o i Weavers dovrebbero essere le effigi del monte Rushmore. Nelle intenzioni di mamma e figlio ci sarà anche stato molto amore per realizzare "Childhood home" ma a noi trasmette tanta noia e banalità.

Voto 5/10

07/05/2014





        
  



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