Francesco Cataldo e lo spazio interiore
San Benedetto del Tronto | Francesco Cataldo "Spaces"
di
Francesco Cataldo
"Spaces"
Sin dalle prime note del prologo di "Spaces" si ha la netta sensazione che l'ambientazione jazz abbia un'estrazione rock tra colori à la Pat Metheny e inquadrature grandangolari sulle immensità. Che sia mare o cielo, la chitarra del siracusano Vito Francesco Cataldo sottolinea impressioni e riflessioni in un dialogo continuo con i suo compagni di viaggio, dal fedele conterraneo palermitano Salvatore Bonafede, immenso pianista degno della prima fila dei nostri più dotati interpreti della tastiera ai talentuosi americani che hanno accompagnato il musicista nella registrazione del suo secondo lavoro, "Spaces" appunto, sei anni dopo l'esordio di "Lanuvio", totalmente registrato a New York.
Pur essendo compositore di tutti i brani (ad eccezione di "Vito" di Bonafede) il chitarrista riesce ad amalgamare alla perfezione la partitura con spazi adeguati ad ogni strumento senza mai lasciare che il suo strumento prenda il sopravvento. E' questo in fondo il respiro che Francesco Cataldo concede a pianoforte, sassofono, contrabbasso e batteria per una perfetta simbiosi che lasci esprimere tutti allo stesso modo. Più che leader di un gruppo Cataldo è un tessitore di trame e un suggeritore di emozioni che man mano vengono raccolte dagli altri partner. E che partner, a cominciare dall'eccelso David Binney, prestigioso sassofonista e compositore che rappresenta il meglio della sua generazione ma anche dal contrabbassista Scott Colley, splendido musicista a fianco di Carmen McRae e Dizzy Gillespie. Dietro lo stile di Francesco Cataldo ma anche dei musicisti che lo accompagnano c'è un'alta scuola e una classe di insegnanti formata da alcuni dei migliori chitarristi del Novecento, Jim Hall, John Taylor, Franco Cerri, Billy Hurt per il siciliano ma anche di Herbie Hancock, Michael Brecker, Pat Metheny per il resto della formazione. Nella visione musicale di Francesco Cataldo lo spazio è un concetto basilare. Più che un luogo fisico è una possibilità di sogno e una magia. Una visione da tradurre in note, un colore da spalmare sul grigio del tecnicismo.
Un esempio su tutti è il brano "Your silence" nel quale la chitarra accenna uno stadio emozionale pizzicando delle note diradate e costruendo poesia sul silenzio ("Quando suoni -dice Salvatore Bonafede- devi partire dal silenzio"). Lentamente e senza mai dominare emergono pennellate di colore caldissimo da brani come "Ortigia", "Vito", "Tourist in my town", "The rain and us" in chiusura che riprende in perfetta circolarità l'apertura di "Our jazz". Un prologo e un epilogo che evidenziano un viaggio attraverso spazi reali, fatti di città, di nuvole, di acqua e di cielo ma anche di profonda interiorità in perfetta sintonia con il proprio respiro.
Voto 7,5/10
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25/03/2014
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