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Jacovitti, in memoria di una matita scomoda

San Benedetto del Tronto | A sette anni dalla sua scomparsa esce il libro di Gianni Brunoro "Jacovitti in giallo".

di Antonella Roncarolo

E’ proprio un gradito regalo quello che Gianni Brunoro ha voluto farmi. Non solo a me, naturalmente, ma  a tutti quelli che hanno amato le tavole ricche e surreali di Benito Jacovitti, un genio del fumetto.
E’ uscito, infatti, per le edizioni Stampa alternativa/Nuovi equilibri, “Jacovitti in giallo – Polizieschi, noir e hard-boiled del più surreale umorista italiano”.
 
Benito Jacovitti ci ha lasciato all’improvviso, nel dicembre del 1997, sette anni fa, rendendoci così orfani dei suoi “paginoni”, dei  “salami” e dei “piedoni”.
E’ rimasto ancora un certo amaro in bocca in chi, come me, per tanti anni si era fatta accompagnare dal suo spirito salace, bizzarro ed un po’ pazzo di questo grande disegnatore.
Insieme al prezioso libro di Gianni Brunoro mi piace, in questa sede, ricordare il mio incontro con i personaggi di Jacovitti sulle pagine del Corriere dei Piccoli e poi, come se il grande Jac seguisse la mia crescita anagrafica, sul Corriere dei Ragazzi.
 
Ma il grande amore sbocciò in quarta ginnasio quando, in uno dei momenti rituali più importanti per uno studente prima dell’inizio della scuola, la scelta del diario, la mia cadde sul diario “Vitt”, negli anni settanta edito dalla casa editrice Pigna. Chiunque l’abbia avuto nella propria cartella o chiuso nella cinta elastica (gli attuali zaini alla moda non esistevano ancora se non sulle spalle curve degli alpini), non può non pensare al Diario Vitt come a un compagno fedele, a pronto uso nelle più noiose ore di scuola o ad una sorta di coperta di Linus stracolma di idee,  ricca di battute con le caratteristiche icone a forma di salame che avvicinavano il tempo della “ricreazione” (oggi chiamato più anonimamente “intervallo”) sempre troppo lontano.
 
Su questi presupposti di “temp perdu”, ho letto e gustato il bellissimo omaggio che Gianni Brunoro ha voluto fare all’indimenticato Jacovitti, scrittore di “letteratura disegnata” come l’ha definita Hugo Pratt.
In questo libro, sicuramente un libro di fumetti intendiamoci, Brunoro va a scavare nel ricchissimo archivio della produzione di Jacovitti per realizzare un libro di genere trovando sette storie gialle che, come sottolinea il titolo, vanno a coprire tutto il genere poliziesco.
 
Molto sarebbe da scrivere sul lavoro di Jacovitti: nella sua fluviale opera ha affrontato tutti i “generi” letterari, dal Western, come non ricordare Cocco Bill, al cappa e spada con Zorro Kid, alla fantascienza.
Notevole, da parte di Brunoro, è stata l’impostazione grafica. Come sottolinea nelle introduzioni di ogni storia: “Nulla si sa né dell’esistenza degli originali, né su chi eventualmente li possieda”. Ecco quindi la scelta del criterio guida di rispettare quanto più possibile la struttura originaria, ciò che non sempre è stato fatto nelle precedenti ristampe di alcune strisce. Quanto più possibile vuol dire per Brunoro riportare ad un formato unico, quello del volume, storie nate in periodi diversi, per testate diverse e soprattutto con formati diversi. E’ nato in questo modo un libro di 160 pagine, in cui la sequenza e la struttura originari sono stati rispettati, forse come lo avrebbe voluto il grande Jac.
 
 Un libro, dunque, curato e raffinato, per chi ha amato Jacovitti e per le nuove generazioni che preferendo fumetti (e diari) più aggressivi ed emancipati perderanno, purtroppo, il gusto di assaporare storie surreali ed ironiche e, soprattutto, la gioia di ridere.
 
Dalla lettura appassionata del libro di Brunoro voglio trarre qualche brevissima considerazione. La prima, se mi è permesso, di carattere artistico. Le tavole piene di personaggi di Jacovitti che a molti  hanno fatto pensare ad una sorta di “horror vacui” dell’autore di aristotelica memoria, mi rievocano con gli occhi di una persona, ohimè,  non più adolescente, la pittura fiamminga e in special modo Bruegel. Nei disegni di Jac si sente il turbinio della vita, il brulichio della gente che si muove in una grande piazza o nelle terre del West.
 
E poi qua e là spunta, inaspettato, l’assurdo che, mentre in Bruegel è il diavolo e il deforme, nel linguaggio jacovittiano viene tradotto, invece, con salami interi o a fette, con le ali o con le ruote, con scarpe e calze a strisce, ossi, macinini da caffè, tazzine, vermi con cartelli, dentiere, uomini senza gambe o con una gamba di troppo, donne poppute oltre ogni misura e gnomi minuscoli.
 
Ma, se si vuole trovare una radice unica nell’arte di raccontare di Jacovitti, questa è, senza dubbio nel gusto innato di rovesciare gli archetipi che nei fumetti, come nella letteratura e nel cinema, si trasformano in stereotipi. E proprio nel ribaltamento che Jac stabilisce il suo estremo e libero diritto alla satira, ribaltamento che seguirà anche nella vita.
Infatti, nonostante i suoi fumetti fossero già dei successi, Jacovitti affrontò moltissimi problemi con le case editrici.
 
Che di lui non si potesse dire che era un uomo di sinistra sembrò subito evidente a tutti, ( forse anche a causa del suo ingombrante nome, - nominem omen? ), ma Jacovitti non prese mai una posizione a favore della destra. Anzi si pose sempre contro tutto e contro tutti, seguendo un filo anarchico e confusionario, che si ritrova sempre nelle sue strisce.
 
La sua collaborazione con Linus, voluta da Oreste Del Buono, fu di breve durata e terminò nel momento in cui cominciò la sua parodia sui giovani del movimento studentesco. Non solo, fu considerato una matita scomoda anche da un giornale conservatore come Il Giorno ,quando fu accusato di polemizzare con l’Eni di Enrico Mattei per aver disegnato Cocco Bill su un cavallo a sei zampe, il “supercavallomaggiore”.
E ancora disegnava contemporaneamente per la cattolica casa editrice Ave e su Playmen. Poiché Jac, ancor prima che cattolico e moralista, si considerava un libero pensatore, continuò con la sua gustosissima produzione erotica regalandoci un capolavoro dell’umorismo come il “Kamasutra spaziale”
 
Un uomo libero dunque, un genio della matita  e dell’ironia. Forse per questo è stato tanto amato e ha lasciato i suoi ammiratori orfani di un genio dalla profonda onestà intellettuale, caratteristica difficile oggi da reperire.
 
Benito Jacovitti ci ha lasciato il 3 dicembre 1997 a 74 anni per un’emorragia cerebrale. Poche ore dopo moriva anche la moglie, Floriana Jodice. Erano sposati da 48 anni.
 

05/12/2004





        
  



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