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Codice Urbani: luci e ombre della riforma

| ANCONA - Entrato definitivamente in vigore il 1° maggio di quest’anno dopo aver ottenuto il parere favorevole della Conferenza Stato-Regioni, il decreto legislativo suscita non poche critiche e perplessità.

Entrato  definitivamente  in vigore il 1° maggio di quest’anno dopo aver ottenuto  il parere favorevole della Conferenza Stato-Regioni,  il  decreto legislativo che  disciplina  il settore dei beni  culturali e paesaggistici, meglio noto come  “codice Urbani”, dal nome del  ministro proponente, suscita non poche critiche e perplessità.

Critiche e perplessità  che sono immancabilmente riaffiorate  nel  seminario sulla promozione dei beni culturali.

 

Come noto il nuovo testo, nell’attribuire allo Stato il compito della  tutela, riconosce   agli enti territoriali - Regioni,Comuni e Province – la competenza  esclusiva  della  tutela  di manoscritti, documenti, carteggi, libri, stampe ed incisioni  che non appartengono allo Stato, mentre, per quanto  riguarda la valorizzazione,   riafferma la competenza  concorrente Stato-Regioni sancita dalla nuova formulazione dell’art.117 della Costituzione.

 

Se da una parte, è apprezzabile la volontà  del legislatore di  affrontare in maniera  organica  e snellire le procedure  amministrative in una materia  così complessa e articolata,  dall’altra è innegabile che  la riforma  ribadisce e consolida gli aspetti centralistici della normativa sui beni culturali attualmente in vigore, come   si evince chiaramente  dalla  stessa riorganizzazione  delle strutture del ministero,  attraverso la riduzione del ruolo delle Soprintendenze e  il potenziamento del ruolo delle direzioni generali.

 

Né il codice,  che pure  è nato dalla necessità di aggiornare l’ormai superato approccio legislativo al patrimonio  culturale, sembra cogliere il vero elemento di modernità che  contraddistingue le  più avanzate   esperienze realizzate in questi anni, tese a privilegiare  la sperimentazione di forme di gestione del patrimonio che ne incrementino la fruizione. In conclusione, la rigidità del codice Urbani limita – è stato concordemente affermato -  l’esercizio  della cooperazione tra gli enti locali per  promuovere e valorizzare il patrimonio  del territorio.

04/12/2004





        
  



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