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Ambasciata Usa a Gerusalemme?

San Benedetto del Tronto | Con la dichiarazione di Donald Trump di trasferirla da Tel Aviv è iniziata una nuova intifada. Mustafa Barghouti (Iniziativa Nazionale Palestinese ) propone un unico Stato formato da Israele e Palestina.

di Felice Di Maro

Il 6 dicembre il presidente americano Donald Trump ha dichiarato che l'ambasciata statunitense da Tel Aviv verrà trasferita a Gerusalemme. Immediate le reazioni non solo dei palestinesi ma anche dei suoi alleati e purtroppo è iniziata una nuova intifada, la terza. Per Benjamin Netanyahu, primo ministro d'Israele si tratta di una scelta storica e anche nei recenti incontri con Macron e con la Mogherini ha dichiarato: "Per tremila anni Gerusalemme è stata la capitale del popolo ebraico ".

Al riguardo c'è da dire che per una risoluzione del conflitto arabo-israeliano la storia non è in campo anche se sulla base di alcuni passaggi della Bibbia si vuole che Dio abbia donato quella terra agli ebrei e si fa della difesa d'Israele contro i palestinesi un punto fondamentale che non è mai stato accettato dall'Onu.

Trump ha fatto questa dichiarazione non pensando alla storia anche perché quella recente degli ultimi decenni essendo gli Usa fin dal 1948 mediatori del conflitto s'imponeva almeno da loro cautela e non una scelta unilaterale sullo status di Gerusalemme. Chiaramente Trump ha agito in funzione di quelle complesse relazioni economiche tra Israele e Usa e che sollecitano una svolta geopolitica nel medio-oriente. Trump non ha considerato che questo trasferimento graverà come un macigno sulla gestione della città santa. Com'è noto su Gerusalemme non c'è stato ancora un accordo tra Israele e lo Stato di Palestina anche se Israele di fatto controlla la città. Si tenga conto che l'ONU ossia l'organismo internazionale delle Nazioni Unite e tutti gli Stati del mondo non riconoscono l'annessione di Gerusalemme Est a Israele anche se è stata proclamata con una legge israeliana nel 1980.

Abu Mazen capo del governo dell'Autorità Nazionale Palestinese ha dichiarato che qualsiasi soluzione riferendosi al conflitto arabo-israeliano che è in corso e purtroppo con una nuova intifada deve "riconoscere Gerusalemme Est come capitale di uno stato indipendente di Palestina". Anche la risoluzione del recente Vertice dei Paesi islamici (Oic) a Istanbul lo chiede e il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, domenica 17 dicembre ha dichiarato al quotidiano israeliano Haaretz: "Se Dio vuole, è vicino il giorno in cui ufficialmente, con il suo permesso, apriremo la nostra ambasciata lì". Ha detto anche che fino ad oggi non l'ha potuta aprire perché Gerusalemme è occupata dall'esercito israeliano.

Si tenga conto che il presidente Donald Trump contro le risoluzioni dell'Onu ha anche dichiarato di considerare il Muro del pianto che si trova nella città vecchia già parte di Israele e Nabil Abu Rudeineh, portavoce del presidente palestinese Abu Mazen, ha rilanciato: "Non accetteremo alcun cambiamento sul confine di Gerusalemme est".

Quest'area della città è stata occupata nel 1967 dall'esercito israeliano e annessa unilateralmente da Israele e fa parte della sua capitale nella quale ha sede il parlamento israeliano che è stato istituito nel 1949 e nel 1966 è stata costruita la Knesset, oggi il palazzo del Parlamento che si trova nella parte ovest della città.
Sullo status di Gerusalemme dovranno iniziare le trattative e la base per arrivare ad un accordo che ha già ricevuto larghi consensi è in sintonia con la formazione già avviata dei due stati, Israele e Palestina, ma Mustafa Barghouti, leader di Iniziativa Nazionale Palestinese, recentemente ha dichiarato (intervista di Michele Giorgio, il manifesto, sabato 9 dicembre 2017) che per evitare l'apartheid dei palestinesi l'alternativa deve essere la costituzione di un unico Stato democratico con una situazione di piena uguaglianza. Anche se si tratta di una proposta minoritaria sta ricevendo consensi e potrebbe diventare un'opzione anche se non si sa quando inizieranno. La convivenza e l'accesso ai Luoghi Santi, Il cosiddetto recinto sacro, che si concentrano in poche centinaia di metri quadrati nello stesso luogo saranno al centro dei prossimi negoziati.

Se dovessero prevalere che con nuovi accordi i processi della formazione dei due stati Gerusalemme dovrà essere gestita sia da Israele e sia dalla Palestina con tutti i problemi politici e di mobilità. Sarebbe comunque una gestione amministrativa molto complessa invece se si arrivasse alla costituzione della formazione di uno Stato unico sarebbe obiettivamente una gestione più regolare e almeno nel tempo si avvierebbe anche una graduale risoluzione del conflitto che si è sempre caratterizzato con una politica comunque sovranazionale e in grado di garantire una discreta autonomia ai diversi gruppi etnici almeno dagli accordi di Oslo del 1993.

Si tenga conto che ufficialmente non esiste un confine riconosciuto a livello internazionale tra Israele e Palestina e le frontiere sono oggetto di contenziosi anche violenti proprio per lo status della Palestina perché alcuni governi è considerato un Paese indipendente, mentre altri come Usa, Germania e Regno Unito, considerano che è semplicemente un insieme di territori sotto l'occupazione israeliana, condizione, quest'ultima, che ha ispirato Trump a trasferire l'ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme.

Uno Stato unico con una sola Costituzione e un solo parlamento votato con una legge che tenga conto della rappresentanza dei due popoli avrebbe confini riconosciuti a livello internazionale con libera circolazione interna. In questo modo si risolverebbe non solo il conflitto arabo-israeliano che dura dal 1947 ma potrebbe essere più facile rilanciare l'economia e armonizzare le due culture che si richiamano all'ebraismo e all'islamismo. C'è da chiedersi se gli Usa accetteranno mai uno Stato unico ma questo potrebbe non essere un problema perché al recente Vertice dei Paesi islamici a Istanbul è stato dichiarato che gli Usa non potranno più essere i mediatori e ormai la motivazione principale del conflitto non è più soltanto di carattere religioso perché è centrale per entrambi il diritto ad avere dei territori propri e anche di come questi territori debbano essere amministrati.

Fino ad oggi per risolvere i problemi delle frontiere fra i due stati se ne sono creati altri come quello della gestione della coesistenza tra israeliani e palestinesi che è sfociata da un lato nell'occupazione militare e dall'altro nell'azione terroristica di alcuni gruppi armati. Chiaramente il sovrapporsi di queste due forze che si affrontano continuamente ne ha aumentato con alti e bassi le frizioni tra i due stati e ha favorito la nascita di fazioni estremiste che rifiutano ogni compromesso e mirano alla distruzione l'uno dell'altro. In questo modo si è bloccato il processo di pace.

Uno Stato unico potrebbe ridurre i conflitti, cancellare i confini interni e nel tempo far formare in quei territori un paese pluralista nel quale potrebbero convivere israeliani e palestinesi ma non è semplice da realizzare anche per una questione demografica in quanto la popolazione araba è più numerosa rispetto a quella ebraica e farebbe di tutto per affermare la propria identità però continuare ad avere due stati non garantirebbero la pace in quanto fino ad oggi è stata solo teorica. Gli israeliani non accetteranno mai di essere messi in minoranza e perdere quanto ottenuto negli ultimi decenni. Purtroppo con la nuova intifada, si sta delineando una situazione che si sta scaldando grazie alle fazioni più estremiste come Hamas e le frange di destra dei coloni israeliani. Se continua così si potrebbe arrivare alla distruzione di una delle due parti in causa.

 

19/12/2017





        
  



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