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Palestina senza pace

San Benedetto del Tronto | Cosa significa vivere da cittadini di un non -stato?

di Martina Oddi

Mr. Foad Aodi

In Terra di Palestina non c'e' pace. Mentre Putin, il grande Zar, fa i conti con le pressioni della comunità internazionale, lo stato di Israele riprende gli Usa perché il Segretario di Stato Kerry rileva un'ovvieta' sotto gli occhi di tutti. Ostruire il percorso di pace significa poco meno che favorire un clima effettivo di separazione e discriminazione, in cui la minoranza palestinese soccombe inevitabilmente. Quale scusa migliore, per nascondersi dietro un dito, che sottolineare il carattere eversivo - terroristico - di Hamas, a cui non viene riconosciuta valenza di rappresentanza legittima del popolo palestinese? E quale miglior alibi per tenere il clima delle relazioni tra i due paesi sul filo di una tensione esasperata che tiene il mondo con il fiato sospeso ad ogni scontro, che si accende in modo imprevedibile sconvolgendo tutta la regione e gli equilibri planetari? Come è accaduto negli ultimi giorni, si confrontano da una parte uno degli stati più potenti del mondo e dall'altro un gruppo di superstiti aggregati da tradizioni comuni su una terra in cui vivono da clandestini. La lotta e' impari, non serve evidenziarlo.

 Che significa essere un fuorilegge a casa propria?

Lo chiediamo a Mr. Foad Aodi, Presidente della Comunità Araba in Italia e Presidente dell'AMSI (Associazione medici stranieri in Italia)

1. Dove vivi?
Sono Palestinese nato in Israele e mi divido tra Israele e l'Italia

2. Come passi le tue giornate?
Lavoro come Direttore sanitario di un centro di riabilitazione e fisioterapia e dedico il 10% del mio tempo al volontariato, come Presidente dell'AMSI, costituitasi nel 2000, della comunità araba in Italia, fondata nel 2008, e del Movimento Uniti per unire, nato due anni fa.

3. Perché secondo te non riuscite a convivere in pace?
Il dilemma storico divide i due popoli, non tanto dal punto di vista della società civile, che anela in entrambi i casi alla pace, ma dal punto di vista politico. È mancata la volontà politica di USA, UE e Lega Araba di dare peso nell'agenda degli impegni internazionali alla risoluzione del conflitto. La diplomazia assente ha anche trascurato movimenti importanti, come la Primavera Araba, che invece è stata cavalcata da gruppi islamici che non hanno rispettato la volontà dei giovani fondatori del movimento. E' mancata una diplomazia forte, e nel vuoto lasciato si sono inseriti gruppi estremisti come l'Isis. Al contrario di quello che si pensa, dietro i guerriglieri delle conversioni dell'ultima ora all'Islam non ci sono giovani di seconda generazione, ma occidentali. Da due anni 22.000 uomini dell'ovest si sono arruolati come mercenari di quello che è un movimento politico che con la religione c'entra poco, prima in Libia, poi in Siria e ora in Iraq. Di questi 6.000 sono di origine europea e 600 circa sono italiani. 
 

4. Ti e' mai capitato di conoscere qualche Israeliano?
Vivo in Israele e conosco tanti Israeliani che credono nel dialogo, come me. Con pari dignità politica e di diritti umani e civili. A livello sociale c'è molta più consapevolezza dell'esigenza di un accordo, e molta più apertura al confronto. La politica e la religione vengono trattati in modo sbagliato, e diventano due argomenti che dividono.
5. Secondo te quali sono le principali differenze tra un palestinese e un israeliano?
Un palestinese ha sofferto molto, e si sente un cittadino di serie b. Pur avendo uno stato e strutture statali come le scuole e gli ospedali, sa di non avere gli stessi diritti degli altri cittadini del mondo, perché il suo stato non viene riconosciuto a livello internazionale. Gli ebrei sono a tutti gli effetti cittadini ma per loro il problema principale è la sicurezza del paese.
 

6. Secondo te un giorno la pace ci sarà?
Io spero di sì. Se si arriverà a un accordo, sarà l'impulso della società civile a determinarlo. La politica è in grande ritardo, deve recuperare rappresentatività e autorevolezza. Dai tempi della stretta di mano tra Arafat e Rabin, il momento più alto della diplomazia che si perse perché alle intenzioni non corrispondevano le reali richieste, il messaggio del dialogo è stato veicolato di nuovo da Papa Francesco, che nella sua grandezza è stato l'unico a far riavvicinare Abu Mazen e S.Perez. Grande ruolo avrà anche Renzi come presidente di turno dell'UE, a cui rivolgiamo l'appello di portare in primo piano il problema di una soluzione politica dello scontro.
 

7. Dove sogni di vivere?
Io sono stato fortunato, l'Italia mi ha accolto e qui sono felice. Ma il pensiero va alla mia terra e ai miei cari. Sogno di vivere nel mio stato e con la mia gente, in pace. Nel solo conflitto di Gaza si contano 2200 morti, di cui 600 bambini. Oltre alle 11.000 moschee distrutte e al 70% degli ospedali fuori uso. Ma è proprio la sofferenza dei bimbi che non può lasciare indifferenti. Il dialogo è l'unica soluzione, noi condanniamo ogni forma di violenza e di estremismo, foriero solo di morte. Il dialogo è l'unica via per realizzare il sogno di uno stato Palestinese indipendente, democratico e libero.

Trovare le risposte a domande che suonano assurde per chi le legge e ovvie a chi risponde sembra un circolo illogico. La comunicazione si e' interrotta tra i due paesi da quando, nel lontano 1946 post bellico, il grande Sion e la sua terra vennero sottratte ai palestinesi e attribuiti, come bottino di guerra, a Israele. Dal 1946 i più valenti diplomatici internazionali si confrontano con il problema di trovare una formula di convivenza tra i due popoli, vincolati dai mille riflessi della politica globale e dei suoi schieramenti. La Road Map fallisce ancora, e lascia il fianco a pericolosi estremismi da combattere come primo passo per superare un stallo così annoso da suonare quasi strano, anacronistico e pericoloso, oltre che ingiusto, per il futuro di pace del Pianeta.

29/08/2014





        
  



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