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Dall'Ulivo al Partito Democratico

San Benedetto del Tronto | Roma, 14 dicembre 2006, incontro presso la libreria Bibli con Piero Fassino per discutere della lettera inviata dai giovani di Nens e le altre associazioni per il Partito Democratico “Liberiamo la politica”.

di Tonino Armata*


L’Ulivo fra pochi mesi (febbraio 2007) compirà 12 anni, ha superato tante difficoltà ed è il patrimonio con il quale andiamo verso il Partito Democratico. E in questo lungo periodo c’è stata una mescolanza, una contaminazione delle radici. Ora possiamo dire che Il Partito Democratico non è un salto nel buio, piuttosto tornare indietro sarebbe un salto nel buio.

Il conto alla rovescia per il Partito Democratico è iniziato a Orvieto. Dopo i congressi dei Ds e della Margherita, sapremo se era un'altra araba fenice. L'impressione è che stavolta si faccia sul serio perché non si hanno alternative. Ds e Margherita sono stati gli sconfitti della vittoria di primavera, conquistata soltanto grazie a una lista unitaria alla Camera impregnata di cento rinvii e mille dubbi. Il Partito Democratico è dunque per gli eletti un obbligo elettorale. Per gli elettori è invece una necessità storica. Fra l'una e l'altra concezione corre una bella differenza di sentimenti, idee e progetti. In parallelo, esistono due modi di arrivare al Partito Democratico. Come sembra volere i vertici di partito e come chiede la maggioranza del popolo di centrosinistra. Il primo sistema procede per somma e aggregazione di ceto politico. Si tratta di mettere insieme la macchina Ds con quella della Margherita, più qualche partitino, una spolverata d’intellettuali organici, il programma con la lista dei sogni, una serie di congressi con le ritualità del caso, infine un'orgia di distinguo per arrivare all'esatta riproduzione dei vecchi partiti in nuove correnti. È il modo in cui la politica italiana ha sempre organizzato le fusioni fra partiti, genere "a freddo", dai tempi del Psu ai recenti casi di liste personalizzate Fini-Segni, Di Pietro-Occhetto, Pannella-Boselli. Ed è la ragione per cui non hanno mai funzionato.

L'altro sistema è di creare un nuovo partito (non partito nuovo), aperto, capace di cambiare il modo di comunicare e di coinvolgere i cittadini, gli stessi criteri d’accesso alla politica e di selezione della classe dirigente. Un soggetto in grado di chiudere la lunga stagione della lotta fra politica e antipolitica. In definitiva, sarebbe il primo partito non solo d'Italia ma forse d'Europa a prendere atto che il Novecento è finito.

Inutile dire che la prima operazione è piuttosto semplice, quasi scontata. Per la seconda viceversa occorre farsi venire qualche idea, anzi molte. Perché allora i leader del centrosinistra dovrebbero compiere questo sforzo creativo? Probabilmente perché non hanno alternative. Certo, il tempo è strettissimo. Il conto alla rovescia per il Partito Democratico parte in ritardo di dieci anni. Avrebbe dovuto cominciare non a Orvieto nel 2006 ma a Gargonza nel 1996, quando l'Ulivo venne sepolto dal “ritorno ai partiti”.

Ora è il tempo di cominciare un'altra storia. Con un Partito Democratico che non sia soltanto un'ovvia alleanza elettorale. Oltre che dalla lezione delle ultime politiche, dove la lista unitaria ha fatto la differenza fra vittoria e sconfitta, ben oltre la distanza finale dei venticinquemila voti. Il nuovo partito deve essere un progetto alto, culturale prima che politico, con l’immediato coinvolgimento della società civile, con l’apertura del percorso non solo allo Sdi, ma anche alle forze politiche e associazioni che esprimono culture d’ispirazione socialiste, repubblicane, liberaldemocratiche, cristiano sociali, ecologiste.

Un nuovo partito che ha un’ambizione storica non può guardare indietro. Bisogna dare al riformismo italiano, che è sempre stato laico e plurale, quella rappresentanza unitaria che non ha mai avuto. Insomma un'occasione per cambiare il linguaggio e il modo di far politica, per aggiornarli all'era di Internet e proiettarli verso i prossimi dieci, venti o trent'anni e non soltanto in vista del 2011. Insomma una sfida appassionante: costruire un percorso all’altezza, coinvolgendo milioni di giovani, donne, uomini e anziani. Per far questo non bisogna mettere insieme le macchine dei partiti ma semmai scomporle e con i pezzi costruirne una nuova allargata alla società civile con doppio tesseramento modello Flm per la fase di transizione (i cittadini potranno iscriversi ai partiti Ds, Margherita, Sdi, ecc. Oppure al solo Partito Democratico).

Si capisce che questo progetto trovi l'opposizione dei peggiori eredi del vecchio sistema dei partiti. Molte obiezioni sono rispettabili. Ma non sembrano considerare l'evidenza che i gloriosi partiti di massa radicati nel territorio non torneranno mai più. Prima o dopo, tocca rassegnarsi. L'accanimento terapeutico per mantenerli in vita, magari cambiando nome e simbolo di tanto in tanto, serve soltanto a perdere qualche milione di voti ogni cinque anni. Non soltanto in Italia ma ovunque. Con la differenza che negli altri paesi la gente smette di andare a votare mentre qui, da noi, l'insoddisfazione alimenta la spaccatura dei partiti e il formarsi di nuovi partitini modellati per intercettare la voglia di cambiamento. Con il risultato di trasformare il Parlamento e gli esecutivi in ammucchiate ingovernabili.

*Il presidente

18/12/2006





        
  



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