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“L’importante è la salute”.

San Benedetto del Tronto | I DS considerano la salute come un bene primario ed essenziale per promuovere i valori dell’equità e della cittadinanza e per rilanciare lo sviluppo economico e sociale del Paese. La relazione di Loredana Emili

La relazione di Loredana Emili al convegno "l'importante è la salute" organizzato dai DS.
“L’importante è la salute”. Questo titolo può apparire come un luogo comune, troppo spesso rappresentato e quindi abusato, un pensiero debole che indica il già pensato, il già detto, un pensiero connotato di inerzia, di mancanza di vitalità, ordinario e banale. Guardiamo oltre.
In realtà è un luogo “comune” a tutti come valore positivo, come una delle condizioni più significative della condizione umana.

La salute condiziona addirittura la nostra “capacitazione”, le nostre possibilità di sviluppo, ciò che il premio Nobel AMARTYA SEN ( economista e filosofo) pone alla base della possibilità stessa di emancipazione da situazioni di disuguaglianza sociale, poiché la sofferenza umana più di ogni altra cosa, scava le differenze sociali, economiche e culturali.
 
Se si vuole garantire la salute come diritto di ogni persona e se si considera la salute come bene comune ( così come recita l’art.32 della Costituzione) al di là di ogni possibile indagine ed analisi c’è una sola terapia essenziale: innalzare la quota del PIL nazionale destinata alla sanità, che oggi è al di sotto della media europea.

In ogni contesto la sanità riveste un ruolo fondamentale e delicato, sia per il peso che ricopre nei bilanci, sia in quanto bene pubblico; ma per noi, investire nella sanità e nel welfare significa anche investire nella promozione dell’individuo, nella sua salute, nello sviluppo  sociale ed economico, nel benessere e nella innovazione del paese.

E’ questa sicuramente una delle discriminanti principali tra destra e sinistra.
Di fatto oggi, il SSN ( e con esso intendiamo tutte le sue componenti : pubblico, privato, privato sociale) è fortemente minato e compromesso dalle politiche di definanziamento, dai tagli indiscriminati alle risorse materiali, dai blocchi delle risorse per gli investimenti e l’innovazione tecnologica perseguite dal governo nazionale di centro-destra. Anche l’eccessivo economicismo contribuisce  ulteriormente a svilire e mortificare  gli operatori del sistema.

Dietro questa politica, c’è la rappresentazione del sistema sanitario pubblico come settore colpevole di sperperare risorse e non come il garante della salute, uno dei principali beni individuali e collettivi.
Sappiamo che affrontare il tema della salute significa guardare in tante direzioni.
Sappiamo che i determinanti chiave della salute sono fuori dal controllo diretto dell’area sanitaria.

La domanda di salute oggi si presenta sempre più intrecciata a forti bisogni sociali e la risposta non può che essere integrata prima di tutto a livello territoriale, in stretto rapporto con i Comuni
Si riconosce un ruolo propulsore della città sulla salute e lo sviluppo sostenibile.
Si parla di costruire contesti di vita favorevoli che rispondano ai bisogni di tutti i cittadini e di coinvolgere attivamente i settori dell’urbanistica.
Si parla di promuovere l’approccio della pianificazione urbana per la salute e creare strategie e strumenti d’azione efficaci.

E’ certo, comunque, che l’implementazione  di politiche, programmi o progetti influenza la salute della gente e quindi la qualità della vita, con molteplici effetti sia diretti che indiretti.
E’ certo che la valutazione di impatto sulla salute nelle decisioni e programmi di governo locali significa includere la salute dei cittadini nella costruzione delle decisioni a livello politico,  e non è cosa da poco se si considera la totale assenza del comune capofila della zona territoriale n.12  da ogni discorso di programmazione sanitaria.

Un esempio per tutti che ha di recente interessato il dibattito locale: la viabilità e le infrastrutture.
Ma, insieme a queste, l’ambiente, la sicurezza nel mondo del lavoro, la sicurezza sulle strade, la prevenzione, i servizi socio- sanitari sono solo alcuni dei temi che noi includiamo nel significato  vasto della parola territorio che accoglie al suo interno anche  le strutture di ricovero ospedaliere.
 
Rimandiamo ad un nuovo appuntamento l’importante tema dell’integrazione della salute nel territorio e degli aspetti sociali legati ad essa perché se la sanità salva la vita ma non riesce ad aiutare a vivere, rischia di non rispondere al suo mandato costituzionale  di creare condizioni di pari opportunità nella tutela della salute.Questo è tanto più necessario a fronte di dati epidemiologici che sottolineano come, rispetto ad un aumento della speranza di vita e ad un miglioramento delle condizioni di vita, aumentano le disuguaglianze nella salute. DARE PIU’ ANNI ALLA VITA, MA DARE ANCHE PIU’ VITA AGLI ANNI, è il senso della sanità che vogliamo: una sanità che cura in modo appropriato e si prende cura della persona, la accompagna e la sostiene rispettandone diritti e dignità.

E’ soprattutto dell’ospedale che noi  vogliamo parlare in questo incontro.
Riteniamo oggi necessario porre questa priorità sia per il peso oggettivo che l’ospedale ha all’interno del discorso salute in termini di assorbimento di risorse e di erogazione di servizi sanitari, sia perché riteniamo che il nostro presidio ospedaliero sia di fronte ad un bivio, a due strade opposte: da una parte una lenta ma continua decadenza fino magari a diventare una struttura di tipo poliambulatoriale, dall’altra il rilancio, lo sviluppo, ossia strategie ed investimenti.
Se i dati di valorizzazione delle prestazioni ospedaliere in nostro possesso sono giusti, nell’anno 2004 il grado di copertura del fabbisogno interno garantito dal nostro ospedale è stato del 42%.
Il trend è molto preoccupante: passiamo dal 55% del 2001 al 44% del 2003 al 42% del 2004.
Ciò significa che il 58% della valorizzazione dei ricoveri effettuati da nostri assistiti sono acquistati dalla nostra zona territoriale e quindi rappresentano dei costi. Costi molto pesanti che incidono  per 42 milioni di euro, comprese le case di cura presenti nella nostra zona, su un  costo aziendale  di 155 milioni di euro.

Si evidenzia contemporaneamente un calo negli anni  dell’indice di attrazione verso l’esterno e principalmente verso  l’Abruzzo ( dal 30% al 26%).
Ciò significa che la nostra attività ( la nostra produzione in termini aziendalistici) cala ulteriormente e aumenta la mobilità passiva. Tale incremento è solo parzialmente compensato dal recupero di ricoveri da fuori regione effettuati da una Casa di Cura privata convenzionata  della nostra zona. Il fenomeno di “disaffezione” della nostra popolazione verso l’ospedale continua a crescere.

Sul forte squilibrio fra domanda di prestazioni ospedaliere e l’offerta, incide nella nostra zona territoriale una sempre più numerosa attività ambulatoriale di specialisti privati di varie regioni che inviano pazienti ad ospedali pubblici e privati intra ed extraregionali.
Questo fenomeno determina da una parte il peggioramento del saldo della mobilità, dall’altra un forte aumento del consumo dei farmaci indotto dagli stessi specialisti privati, altra voce che grava pesantemente sui bilanci e che nel 2004 ha registrato un consistente aumento.
In definitiva, il continuo aumento dei costi per l’acquisto di prestazioni dall’esterno, non  permette di invertire la tendenza ,in atto da ormai molti anni, di riduzione del volume della produzione interna, causata da una carenza di investimenti nelle strutture, nelle tecnologie e nelle risorse umane.

MENO INVESTIMENTI, PIU’ COSTI E MENO SERVIZI AI CITTADINI
.
Possiamo così sintetizzare  una situazione che deve essere cambiata, altrimenti rischiamo di diventare una struttura autoreferenziata.

Non è un caso che la zona territoriale n.13 di Ascoli Piceno   registra una inversione di tendenza con un segno positivo ragguardevole nel recupero dei flussi migratori verso altri ospedali dei propri assistiti. E’ stata seguita una strategia, una politica di investimenti che, va detto, ha potuto beneficiare   della vendita di propri beni immobiliari e di una migliore capacità di progettazione finalizzata all’acquisizione di finanziamenti regionali e nazionali (art.20).

Noi non vogliamo elencare altri dati , indici e percentuali, vogliamo indicare quella che secondo noi è la sola strada possibile da seguire: lo sviluppo dei servizi sanitari in generale e dell’ospedale in particolare commisurato ai bisogni della nostra popolazione. Una possibile obiezione  a questa impostazione è che il permanere di una offerta prevalentemente centrata sull’ospedale rappresenta l’origine di un sistema troppo costoso e che non tiene conto  del cambiamento epidemiologico (malattie cronico-degenerative, disabilità, non autosufficienza, terminalità) che richiede invece uno spostamento delle cure dall’acuzie alla post-acuzie e che ad una sovradotazione di strutture non corrisponde automaticamente un migliore livello della qualità delle prestazioni. Eventuali osservazioni di questo tipo, pur condivisibili, non possono di certo  riferirsi  alla nostra realtà che ha  servizi e attrezzature sottodimensionati anche nelle aree di maggior utenza o nelle nostre specialità di eccellenza. Anzi, a volte, i responsabili dei reparti fanno fatica  a vedersi  autorizzare anche l’acquisto di una lavapadelle.

La costituzione dell’Azienda Sanitaria Unica Regionale (ASUR) avvenuta a seguito della legge n.13 del 2003 ha segnato l’inizio di un percorso mirato a correggere e superare le criticità della prima fase di aziendalizzazione del SSR , iniziata dieci anni or sono e contrassegnata, accanto ad importanti traguardi in termini di governo clinico, dalla scarsa armonizzazione di sistema delle scelte di programmazione sanitaria e organizzativa  effettuate a livello locale dal precedente consistente numero di aziende sanitarie e di soggetti decisori.
Nella appena inaugurata legislatura è necessario consolidare il processo di razionalizzazione attraverso la progressiva identificazione dell’Azienda Sanitaria Unica Regionale nel ruolo di “holding della salute”, ruolo ben diverso da quello di soggetto centralizzatore di ogni fase della programmazione e della gestione dell’assistenza e assimilabile a quello di strumento consortile delle autonomie zonali finalizzato alla gestione ottimale di servizi per conto delle diverse articolazioni territoriali.

L’ASUR non potrà essere la centralizzazione nel capoluogo regionale delle scelte del sistema della salute.
Per quanto è necessario che, rapidamente, si ponga con energia l’accento sull’autonomia delle zone territoriali e sulla individuazione di momenti compiuti e istituzionalmente riconoscibili di organizzazione dei servizi e di delega di funzioni in aree vaste omogenee che potrebbero corrispondere ai territori delle province, in modo da raggiungere le economie di scala e le corrispondenze istituzionali più idonee a perseguire gli obiettivi di salute della popolazione marchigiana.

Noi non possiamo allora  far finta di non sapere che un’altra delle criticità che ha portato alla legge di riforma, è quella della scarsità delle risorse legata a motivazioni di carattere generale quale minori trasferimenti dallo Stato, e di carattere locale, come l’eccessiva frammentazione del sistema che ha determinato una ipertrofia della struttura gestionale ed operativa ; che molte regioni hanno imposto ulteriori ticket  sulle prestazioni  per tenere sotto controllo la spesa sanitaria  o hanno aumentato la pressione fiscale. Sappiamo che  solo attraverso la razionalizzazione della rete ospedaliera, la lotta agli sprechi, la riduzione dei costi di produzione possiamo tendere verso la compatibilità e la sostenibilità economica del sistema. Lotta agli sprechi e qualità dei servizi non sono termini tra loro incompatibili per un buon governo e sviluppo della sanità pubblica, perché significa soprattutto non arrendersi alla inevitabile privatizzazione del sistema e dei mezzi di produzione che molti considerano meno gravosi per l’erario pubblico.

Ma non possiamo non  rivendicare il fatto che la nostra zona  da almeno un decennio ha praticato  una politica di razionalizzazione del sistema ospedaliero con la chiusura di due strutture , di contenimento della spesa sia per il personale, inferiore in confronto a realtà simili, che per l’edilizia, l’impiantistica , l’informatica, le attrezzature e l’ammodernamento tecnologico.
Oggi chiediamo di seguire una politica di equità nella distribuzione delle risorse e nell’allocazione dei servizi nel rispetto delle peculiarità del contesto locale.
E’ necessaria una politica di riequilibrio economico attraverso la quota capitaria, che è storicamente una delle più basse per i nostri assistiti soprattutto perché non viene considerata la popolazione turistica stagionale, ma soprattutto una politica di investimenti.

Se le maggiori risorse stanziate dalla Regione in questi ultimi anni sono servite solo per coprire l’incremento dei costi dovuto all’acquisto di prestazioni ospedaliere, è evidente che non hanno prodotto alcun effetto in termini di miglioramento strutturale o dei servizi erogati.
Diventa  perciò necessaria ed opportuna una politica di investimenti mirati, in base alle analisi di contesto e alla programmazione regionale, che permetta  di poter sviluppare le potenzialità professionali presenti, migliorare la quantità e la qualità dei servizi ai cittadini, rilanciare la nostra capacità di attrazione nei confronti della Regione Abruzzo.

Quest’ultimo aspetto non va sottovalutato. E’ stato detto in più occasioni che la zona di San Benedetto del Tronto, Grottammare, la bassa Valle del Tronto insieme alla parte confinante abruzzese è l’area più densamente popolata tra Ancona e Pescara; che nel periodo estivo la Riviera delle Palme è l’area urbana più popolosa delle Marche; che il traffico autostradale e la mobilità giornaliera lungo la statale gravano pesantemente sui servizi di emergenza, dall’ortopedia alla cardiologia, alla chirurgia d’urgenza; che il Pronto Soccorso di San Benedetto del Tronto è il terzo della Regione per volume di attività, per la forte incidenza delle presenze turistiche e da fuori Regione.

E’ stato in base a questo contesto ambientale, sociale e alle specialità presenti nel nostro ospedale che è stata individuata nei servizi per l’emergenza e urgenza la missione principale del presidio ospedaliero di San Benedetto del Tronto, anche se gli investimenti sono insufficienti e determinano una risposta inadeguata alle esigenze .
Su questa “vocazione” è stata  delineata da molto tempo una strategia di interventi e di azioni conseguenti,con progetti  finanziati, che trovano a tutt’oggi troppi e ingiustificati ritardi nella realizzazione:
  1. ristrutturazione del DEA (dipartimento di emergenza); L’intervento di ristrutturazione di tutta l’area dell’emergenza, ossia Pronto Soccorso, Accettazione, Rianimazione, Unità Coronaria può rappresentare una occasione di potenziamento e rilancio del nostro ospedale sia in termini di immagine, di sicurezza, di accoglienza , di qualità dei servizi.Lo stato di degrado strutturale in cui versa il primo piano seminterrato non è più  accettabile. Riteniamo che sia necessario  prendere decisioni efficaci e  rapide che trovino l’adesione convinta degli operatori.Questo diventa possibile solo se la Direzione sviluppa forti relazioni sulla base della convinzione che una programmazione partecipata crea le condizioni di cambiamento con maggiore consenso.Occorre ugualmente una maggiore disponibilità da parte degli operatori a mettere al primo posto l’interesse generale e non la difesa di posizioni particolari. Altrimenti si può solo registrare un malcontento e una conflittualità interna che non aiuta  la partecipazione consapevole degli  operatori al miglioramento strutturale e organizzativo del dipartimento;
  2. l’attivazione del reparto di medicina d’urgenza/chirurgia d’urgenza come una risposta necessaria sia se si considera l’incidenza dei ricoveri in urgenza sia per garantire quei servizi che un  DEA di II livello dovrebbe avere ;
  3. il potenziamento e l’adeguamento tecnologico della radiologia; abbiamo detto in precedenza  che gli investimenti sono stati insufficienti per evitare l’invecchiamento delle attrezzature esistenti e  per l’adeguamento  a nuove metodiche cliniche, sebbene questo settore rappresenti il presupposto per ogni programmazione sull’area dell’emergenza e su ogni altra area ospedaliera e territoriale. E’ infatti rivolta prevalentemente  a questo servizio la domanda di indagini diagnostiche dei Medici di medicina generale.La nostra radiologia, pur essendo fra le prime della regione come numero di prestazioni, è totalmente priva di qualsiasi pratica di radiologia interventistica che è il settore di maggiore espansione in terapia. L’inadeguatezza delle attrezzature , spesso ferme per guasti tecnici dovuti alla usura, e la carenza del personale,  determinano l’aumento dei tempi di attesa soprattutto per la Risonanza Magnetica, l’aumento dei costi a carico dell’azienda per l’acquisto di prestazioni da terzi, l’aumento dei costi per i cittadini, che spesso sono dovuti ricorrere a prestazioni a proprie spese. Finalmente le difficoltà incontrate nell’espletamento della gara sembrano  superate e appare concreta la previsione che entro l’anno la nuova RMN venga installata insieme al RIS e PACS (sistema di refertazione vocale e sistema digitalizzato di archiviazione e gestione delle immagini) presenti ormai in  tutti gli ospedali di rete regionali.
  4. l’attivazione della convenzione unica per area vasta  per la Neurochirurgia. E’ definitiva da pochi giorni questa convenzione, stipulata dalla zona di San Benedetto del Tronto  con valenza interaziendale,  che dovrà sviluppare sul territorio una attività che permetterà di dare una risposta di primo livello  nell’area della  neurochirurgia in collaborazione con gli Ospedali Riuniti di Ancona.
 
Tutto questo comunque, non deve offuscare il fatto che i servizi di emergenza sono mal distribuiti e sottodimensionati nelle aree di maggiore utenza. Ogni anno, e ogni anno di più soprattutto nel periodo estivo, sulla stampa vengono denunciate   le precarie condizioni sia di accoglienza  che dei tempi di  attesa  per una prestazione nel nostro Pronto Soccorso. Se poi  malauguratamente l’utente dovesse aver bisogno di una ulteriore prestazione  o di una consulenza specialistica da altro reparto, i tempi diventano  inaccettabili. Il permanere di questa situazione è avvilente sia per i pazienti che per gli operatori che spesso sono messi nelle condizioni di essere  insultati dalla giustificabile irritabilità della gente.

E’ grave non intervenire sul piano organizzativo strutturale e dell’organizzazione generale; è autolesionistico  non utilizzare pienamente tutte le risorse umane a disposizione  per  questioni di esigua rilevanza economica. Vanno comunque fatte alcune considerazioni:  se l’affollamento al Pronto Soccorso di codici bianchi , ossia di prestazioni di non particolare gravità e urgenza, è l’indicatore di un uso improprio della struttura perché  i cittadini dovrebbero rivolgersi all’assistenza territoriale, dall’altra è una manifestazione evidente che nell’organizzazione dell’assistenza, nella divisione delle funzioni, qualcosa non va e che l’ospedale non viene percepito e vissuto  come risposta alla complessità clinica assistenziale. 

Un'altra questione  che  invece accomuna molte realtà, è quello delle liste di attesa. Su questo  problema, la Regione Marche ha attivato un monitoraggio trimestrale  per seguire l’andamento della risposta ai bisogni dei cittadini e per  evidenziare, e poi correggere , quella sfasatura che si è creata tra l’offerta e la domanda. Occorre intervenire sui tempi delle liste d’attesa riducendo  il divario esistente tra attività istituzionale e libera professione per evitare quell’odioso fenomeno della doppia corsia : tempi brevi o tempi lunghi se a pagamento o meno. 

Le carenze  rispetto alle necessità ambientali e alla operatività dei progetti che  ho ricordato, riguardano diversi settori tra queste le politiche del personale che interessa quasi tutti i reparti. In alcune specialità manca il personale medico necessario a garantire i servizi, in altre dobbiamo accontentarci di obiettivi di mantenimento. A questo proposito, sarebbe particolarmente significativa l’approvazione del progetto  presentato quest’anno dal titolo “Trauma System” il cui obiettivo è ridurre la mortalità da trauma grave garantendo le cure intensive continue fino al trattamento definitivo.

Recentemente è stata  presentata alla Direzione aziendale la possibilità di installare nel nostro ospedale una  PET ( Tomografia ad emissione di positroni) cerebrale in leasing operativo. Il valore diagnostico dell’apparecchiatura per la diagnosi precoce dei tumori cerebrali è notevole.   Questa possibilità non deve andare persa.

Vorrei, prima di chiudere questo  mio limitato intervento,  accennare ad alcuni obiettivi strategici : quello dell’integrazione clinica e amministrativa di area vasta e quello dell’integrazione pubblico-privato.
Dopo un primo avvio di notevole programmazione e fin troppo propositivo, perché a volte non accompagnato da un coinvolgimento convinto, attraversiamo una fase di stagnazione se non di recessione.Occorre riprendere la strada dell’integrazione dei Centri Servizi condivisi e la strada della condivisione di tutte le risorse esistenti in area vasta fra i diversi punti del territorio.
In merito all’integrazione pubblico-privato, noi consideriamo le strutture sanitarie private accreditate una risorsa e non un ostacolo, alla condizione che esse si pongano come soggetti attivi nell’integrazione con le funzioni assistenziali svolte direttamente dalle strutture pubbliche.Per finire:

In una visione di lungo periodo, dobbiamo essere consapevoli che la velocissima innovazione tecnologica e la necessità di prestazioni sempre più qualificate e specialistiche,  comporteranno continui e massicci investimenti. Sempre di più la oggettiva tendenza  economica e finanziaria  porterà a privilegiare strutture con adeguati bacini di utenza. La divisione della nostra realtà in due province rappresenta oggettivamente un ulteriore indebolimento.

In questa ottica, dobbiamo andare oltre una divisione ideologica e schematica  e cercare di individuare nuove possibili soluzioni al fine di perseguire un miglioramento qualitativo dell’assistenza sanitaria nel sud delle Marche. Il superamento dei due presidi esistenti in un unico nuovo ospedale rappresenta una ipotesi su cui noi crediamo sia possibile lavorare. Riteniamo possa essere  una soluzione  credibile e adeguata in risposta alle esigenze di razionalizzazione del sistema, alla crescita delle esigenze della popolazione e alla maggiore competitività interregionale. Sarebbe auspicabile oltre al progetto di fattibilità, l’avvio della progettazione preliminare e dell’analisi del contesto che individui i fattori  positivi e negativi da portare in visione e discussione perché la complessità del problema richiede una soluzione condivisa dalle tante voci  del protagonismo sociale.

Secondo noi  è necessaria infatti una  campagna di ascolto di tutte le categorie interessate: gli operatori  del settore, i cittadini, sindacati, associazioni, comitati di quartiere perché queste sono scelte che incidono fortemente sulla qualità della vita dei cittadini. Questa prospettiva è possibile perseguirla  attraverso il miglioramento delle strutture esistenti perché questa prospettiva non può che nascere da una cultura condivisa; pensare di perseguirla attraverso il decadimento di una struttura a vantaggio di un’altra ci porterebbe in un vicolo cieco perché tante e giuste sarebbero le opposizioni sociali.
Noi oggi abbiamo qui presenti quasi tutti i  principali responsabili delle politiche sanitarie e non  della Regione Marche. Chiediamo parole chiare, impegni concreti, decisioni coerenti.

18/07/2005





        
  



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