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Armata e le primarie

San Benedetto del Tronto | Le primarie saranno una sfida difficile e importante, per “l’unione” della nostra citta’, e quindi vanno affrontati con cura e coraggio.

di Tonino Armata


 
Domenica 13 febbraio, al congresso cittadino dei Democratici di sinistra, ho sentito le due mozioni congressuali dei compagni Felice Gregori e Giorgio Mancini per l’elezione del segretario dell’Unione Comunale di San Benedetto del Tronto. Entrambi senza mai accennare alla federazione dell’Ulivo (come se parlarne significasse bestemmiare), con forza, invece, hanno parlato delle primarie.

La scelta degli elettori iscritti è andata al compagno Gregori (se avessi avuto diritto di voto, confesso: avrei votato Mancini). Per quel che vale, come cittadino dell’Ulivo e sostenitore delle primarie nella selezione del candidato sindaco e dei candidati consiglieri, in bocca al lupo anche da parte mia al compagno Gregori e simpaticamente anche al compagno Mancini.

E veniamo alle primarie nella nostra città. Coltivare l'albero della democrazia è un'opera buona e fruttuosa. Ma occorre farlo in modo convinto e competente. Altrimenti si rischiano, conseguenze inattese. Com'è avvenuto in Puglia. Dove la vittoria di Nichi Vendola ha spiazzato gli stessi dirigenti dell’”Unione”. I quali avevano promosso le consultazioni primarie perché non riuscivano a mettersi d'accordo sul candidato. Le primarie come "metodo di soluzione di conflitti irrisolti" hanno sortito un esito imprevisto (dai leader dell’”Unione”).

Decretando la prevalenza del candidato politicamente più radicale su quello vicino alla Margherita. Così, oggi, molti, si affannano a spiegare che in Puglia ha "vinto" un estremista; e che anche nella nostra città potrebbe avvenire lo stesso. Che, per questo, le primarie devono essere "governate", con giudizio. Tuttavia, sarebbe penoso aggiungere errore ad errore. Pretendendo, dopo aver aperto le porte, all'esercizio della democrazia diretta, di addomesticarla, oppure di gestirla in modo furbesco. Meglio fermarsi un istante a riflettere, in una fase tanto critica per la federazione dell’Ulivo.

Le primarie sono un importante metodo di democrazia diretta, che serve a coinvolgere i militanti, i simpatizzanti e gli elettori, nella selezione della leadership e nell'identificazione dei programmi. In Italia, si è cominciato a parlarne circa un decennio fa, dopo la crisi dei partiti tradizionali.
E da quando, in particolare, si è affermato l'Ulivo, come coalizione, ma anche come soggetto politico "distinto" rispetto alle sigle che ne facevano parte. Le primarie, in altri termini, hanno assunto un significato simbolico.

Fra gli elettori di centrosinistra, infatti, sottolineano la domanda d’unità e di partecipazione "oltre i partiti". D'altra parte, non ci sono, in Europa, esempi d’elezioni primarie, nei termini oggi previsti in Italia. Altrove, i candidati sono scelti dalle assemblee degli iscritti. Per questo, quando si parla delle  primarie, in Italia, si evocano gli Usa. I cui partiti, peraltro, non somigliano per nulla ai nostri. Pragmatici, poco strutturati, ideologicamente compatibili, si mobilitano e si affermano soprattutto nel voto presidenziale.

Le primarie, per questo, ne costituiscono la principale "missione" e il principale meccanismo di funzionamento (almeno in ambito federale). Tuttavia, negli Usa le primarie sono davvero "aperte". Sia perché gli elettori sono abituati" a frequentarle (ma negli Usa per votare occorre "prima" iscriversi alle liste elettorali: il voto è un diritto, non un dovere). Sia perché i concorrono diversi candidati e non c'è un vincitore predestinato. Kerry è diventato candidato dei Democratici senza che nessuno lo avesse previsto pronosticato. Perché le primarie hanno una propria dinamica, una propria logica. Seguono regole specifiche; difficili da apprendere, senza averle prima sperimentate.

In Italia, fino ad oggi, se n’è discusso in modo largamente approssimativo e ideologico. Affidando il compito della riflessione alla competenza e alla passione di alcuni intellettuali (Pasquino, Barbera e Ceccanti, fra gli atri). Autorevoli, quanto poco ascoltati. Per questo è meglio ricordare alcuni aspetti, sottovalutati, che condizionano il funzionamento delle primarie. Prendendo spunto dalla "lezione pugliese".

Nelle primarie, anche quando sono "aperte" a tutti gli elettori che dichiarino a propria preferenza di coalizione (come in Puglia), non votano tutti. Solo i più coinvolti, appassionati, militanti vi partecipano. Gli elettori più moderati, quelli "non allineati", più esterni alla politica, difficilmente votano alle primarie. Spesso, faticano a votare anche alle elezioni vere proprie. Se queste sono gli elementi determinanti per vincere le elezioni, occorre prendere atto che non necessariamente chi vince le "primarie" è il più "adatto" a vincere le elezioni vere.

Conviene ricordare che la Bartolini, sconfitta a Bologna da Guazzaloca, aveva trionfato nelle primarie con l'80% dei voti.
Nelle primarie contano molto le risorse organizzative, ma anche, forse di più, la "visibilità" e l'appeal del candidato. Questa mi pare la spiegazione più credibile del successo di Vendola. Non certo "l'estremismo". Né la presunta "rivolta contro gli apparati". È, semmai, il suo personale "radicamento" territoriale, soprattutto a Bari. È la sua "capacità mediale". A

ltri leader di Rifondazione, magari più importanti di lui, al posto avrebbero incontrato una sorte ben diversa.
Da questa "lezione" possiamo trarre alcune indicazioni, tanto più importanti ora, che entrambi i candidati (Gregori e Mancini) hanno scritto nelle loro mozioni congressuali di promuovere le primarie, per la scelta delle candidature in vista delle prossime elezioni regionali e  amministrative.

1. Le primarie vanno preparate bene. Non possono essere improvvisate. Come altre scelte del centrosinistra in questi anni. Debbono fondarsi su regole chiare. E debbono essere "pensate", programmate, coordinate da organismi composti da figure rappresentative, competenti e responsabili.

2. Se si vuole evitare che votino "i soliti noti", gli impegnati di professione, occorre curarne la "comunicazione". In modo che tutti, i potenziali elettori, sappiano che ci sono; come, perché, per chi si vota. In modo che i candidati abbiano possibilità di farsi conoscere e di far conoscere le proprie idee. Per questo è importante il rapporto con le organizzazioni, le associazioni, comitati di quartiere, singoli cittadini e anche con le emittenti locali.

3. La dicotomia fra persone e programmi, è dannosa. Un candidato deve promuovere programmi. E viceversa. Senza possibilità di scindere, tatticamente, gli uni dagli altri.
4. Le candidature non possono essere "finte". Chi pensa alle primarie come un rito dall'esito scontato, a favore di qualcuno, meglio farebbe ad organizzare qualcosa di diverso (ad esempio una convention). D'altra parte, "chiudere" la competizione artificialmente, in modo verticista (come in Puglia, dove è stata ridotta ad un confronto personale fra Ulivo e Sinistra), impoverirebbe il dibattito. E le possibilità di scelta, rischierebbe, di produrre risultati inattesi e sgraditi. Per questo, se si faranno le primarie, occorre farle seriamente. "Aperte" a diversi concorrenti "veri", con un confronto "vero". Senza vincitori predestinati.

Per finire. Le primarie saranno una sfida difficile e importante, per l’”Unione” della nostra città. Vanno affrontate con cura e con coraggio. Senza tenere socchiusa la porta, furbescamente, per controllare meglio chi fare entrare e chi no. Dopo aver promosso e promesso partecipazione. La gente sfonderebbe la porta, travolgendo i malaccorti apprendisti stregoni di turno

12/03/2005





        
  



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