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A San Benedetto del Tronto Sandra Petrignani con “La corsara-Ritratto di Natalia Ginzburg”

San Benedetto del Tronto | Sabato 14 luglio, nell’ambito della rassegna “Incontri con l’autore”, San Benedetto del Tronto ha ospitato Sandra Petrignani con il libro “La corsara-Ritratto di Natalia Ginzburg”, finalista al premio Strega 2018.

di Elvira Apone

La corsara-Ritratto di Natalia Ginzburg

Sabato 14 luglio, nell’ambito della XXXVII edizione della rassegna “Incontri con l’autore”, organizzata dall'associazione culturale "I Luoghi della scrittura" e dalla libreria La Bibliofila con il patrocinio e il contributo dell'Amministrazione Comunale, alla Palazzina Azzurra di San Benedetto del Tronto Sandra Petrignani ha presentato il libro “La corsara-Ritratto di Natalia Ginzburg”, finalista al premio Strega 2018. Proprio nel giorno dell’anniversario della nascita della Ginzburg, davanti a un uditorio attento, interessato e affascinato, la Petrignani ha incantato tutti i presenti con la forza e la magia delle sue parole e grazie alla potenza di un libro straordinario, tributo dovuto a una delle rappresentanti più significative della letteratura italiana del secolo scorso.

“La corsara-Ritratto di Natalia Ginzburg”

“Intorno alla metà degli anni Ottanta mi trovai a salire una larga scala piuttosto buia all’interno di un palazzo storico romano, il secentesco Palazzo Naro in piazza Campo Marzio numero 3, a due passi dal Pantheon. Un’ottantina di gradini e poi altri ventidue, divisi in due rampe più strette, per arrivare all’attico dove abitava Natalia Ginzburg”. È da questo incontro, sincero e amaro al tempo stesso, che nasce, dopo lunghe ricerche e viaggi sul campo, questo libro appassionante e coinvolgente, che finalmente assegna il posto che merita a una delle protagoniste del panorama letterario italiano del Novecento. Un libro questo, per il quale qualsiasi definizione sarebbe limitante. È sì un ritratto, come suggerisce il titolo stesso, un ritratto intenso e appassionato di una donna che non solo ha fatto la storia della letteratura italiana, ma che “era la Storia”, per usare le parole della stessa Petrignani. Ma non solo. È per certi versi anche un saggio, tale è la ricchezza e la varietà delle informazioni contenute, tale è la ricostruzione minuziosa, puntuale e dettagliata della vita, dell’opera e della poetica di Natalia Ginzburg, sebbene non abbia il tono oggettivo e distaccato, quasi freddo, del saggio. Al contrario, è un libro denso di amore e di poesia, un libro carico di sentimento, ma che non inciampa nel sentimentalismo, un libro che scava in profondità riportando alla luce una figura affascinante e complessa. Una biografia che, però, ha anche qualcosa del romanzo, pur non essendo un romanzo vero e proprio; eppure, la vita della Ginzburg, inevitabilmente connessa all’evoluzione della sua opera e che si intreccia a quelle di tantissime altre figure fondamentali del panorama culturale della nostra nazione (da Cesare Pavese a Alberto Moravia, da Primo Levi a Elsa Morante, per citare soltanto alcuni nomi), alla storia della casa editrice Einaudi e alle vicende storiche e sociali del nostro paese, a partire dal periodo fascista per passare attraverso i tristi anni del dopoguerra fino ad arrivare al termine degli anni ottanta, si può leggere come un romanzo. Un romanzo in cui è concentrato un pezzo di storia e di letteratura dell’Italia, un romanzo che parla di amore, di guerra, di repressione, di dolore e di morte. Ma che parla anche di vita, quella vita cui Natalia Ginzburg si è aggrappata con eroismo e determinazione e in cui, senza filtri, si è presentata al mondo con una sincerità disarmante, tutta racchiusa nella sua poetica: “Dire la verità. Solo così nasce l’opera d’arte”. E questa dichiarazione, fatta già a diciassette anni nel giornaletto “Il Gallo”, scritto a mano insieme a una sua coetanea, non significa cedere al puro realismo, non allude a un semplice abbandonarsi alla realtà delle cose, ma implica una lealtà e una coerenza con se stessi, una continua e salda fedeltà ai propri principi e alle proprie idee. Un libro, dunque, che, senza etichettature, potrebbe far pensare a una miniera incandescente di suggestioni, spunti, riflessioni, temi, tutti supportati da testimonianze e documenti legati a coloro che Natalia Ginzburg l’hanno conosciuta e apprezzata, a partire dalla figlia Alessandra, che aveva espresso proprio all’autrice il desiderio di vedere realizzato un libro su sua madre, quel libro che effettivamente mancava ed era, quindi, necessario alla storia della nostra letteratura.

Scrittrice di racconti e di romanzi, giornalista, autrice di teatro, donna attiva nel sociale e in politica, Natalia Ginzburg è stata anche una madre, due volte una moglie e soprattutto una donna forte e coraggiosa, che ha saputo mettere in pratica gli insegnamenti di vita che il suo primo marito, Leone Ginzburg, co-fondatore della casa editrice Einaudi, traduttore, filosofo e filologo, uomo politico di grande cultura, indulgenza e umanità, le aveva lasciato in eredità prima di morire: “Sii coraggiosa”. E quest’opera ci restituisce la figura di una donna, prima ancora che di un’autrice di successo, che è riuscita a fare del dolore la propria forza, trasformandolo in ricchezza, come ha acutamente osservato il suo amico e collega Cesare Garboli; che è stata capace di trovare in quel grumo di malinconia con cui ha convissuto sin dall’infanzia un’inesauribile fonte di ispirazione e di creatività: “amare la vita e crederci vuol dire anche amarne il dolore; vuol dire amare il tempo in cui siamo nati e le sue voragini di terrore; e vuol dire amare, del destino, la sua oscurità e la sua tremenda imprevedibilità”. Un’imprevedibilità a cui la Ginzburg attribuiva un’enorme rilevanza nella vita di ciascuno quando diceva che “le cose più belle, più importanti, più grandi della vita, avvengono per puro caso e nei momenti in cui siamo più ciechi e più sordi, più sprovveduti e distratti”. E in un mondo che è “impazzito”, proprio il caso diviene il principale responsabile di quei “doni di fama e fortuna che esso usa prodigare”, da cui il suo invito a “giudicare ciascuna cosa, opera o persona, isolandola dal giudizio degli altri”. Una voce fuori dal coro la sua, anticonformista e sincera quasi fino alla brutalità, ma che, proprio per questo, sapeva scavare nei cuori e risvegliare gli animi attraverso “quel suo commento irruente, perturbante e corsaro (il corsivo è mio) cui si abbandonava soprattutto nei suoi interventi pubblici e giornalistici.

È da una lotta interiore tra maschile e femminile che sembra nascere la sua scrittura, una scrittura pregnante e originale, dalla “femminilità non femminile”, come l’hanno definita i suoi amici Italo Calvino e Cesare Garboli; lei, “maschio mancato, donna vergognosa della propria debolezza cromosomica”, eppure, al tempo stesso, fiera di essere tale, lotta con le donne e insieme alle donne per rivendicarne libertà e diritti e sostiene che “una donna deve scrivere come una donna, però con le qualità d’un uomo”, alludendo al distacco dai sentimenti, o ancor meglio, dal sentimentalismo, dal manierismo e dalla sdolcinatezza cui ai suoi tempi veniva associata la parola scrittrice. Eppure, così come molti dei suoi personaggi sia maschili che femminili appaiono incompiuti, manchevoli, in un certo senso, immaturi, allo stesso modo pare rimanere irrisolto in lei questo conflitto “tra i poli filogenetici del maschile e del femminile nel segreto dell’interiorità”, uno scontro che la fa sentire sempre inadeguata, incompleta, che la induce costantemente a dubitare di se stessa, delle proprie capacità e del proprio talento. Un talento indiscutibile. Ma è nel superamento del femminismo come “atteggiamento dello spirito”, cioè di certi limiti non solo di genere, ma anche sociali, mentali, culturali che Natalia Ginzburg vede la realizzazione di una nuova visione del mondo senza antagonismi e complessi d’inferiorità. Un’idea di uguaglianza che la scrittrice ritrova anche nella figura del Cristo, “immagine della rivoluzione cristiana”, ritenendo che gli uomini debbano “oltrepassare i confini delle loro origini” e che la porta, in questo caso, a rifiutare sia l’ateismo di molti membri della sua famiglia, sia l’ebraismo del padre, sia il cattolicesimo della madre, per abbracciare un credo “caotico, tormentato e discontinuo” che, tuttavia, va ben oltre l’appartenenza religiosa.

Tra le pagine più toccanti del libro, che comunque apre continui squarci di rara bellezza e tenerezza, ci sono sicuramente quelle dedicate alla fuga da Roma di Natalia, che, giovane vedova con tre bambini, giunge a Firenze dai Saba, anche loro ebrei rifugiati durante la guerra. Come riporta Sandra Petrignani, è la figlia del poeta Umberto Saba, Linuccia, a raccontare l’incontro: “Aprii di colpo: sulla porta c’era una donna con un fazzoletto nero in capo, un bambino al collo e due attaccati al vestito. Restò muta a guardarci, e tutti, come per una muta intesa, davanti a lei si alzarono in piedi. Mia madre fu la prima a riconoscerla e abbracciarla. Era Natalia Ginzburg.”. È contenuto in questo commuovente incontro e nel riverente silenzio che lo accompagna tutto il dramma di una donna che, seppure messa a dura prova dalla vita e completamente “nuda” davanti a se stessa e agli altri, non si piega dinanzi alla crudeltà del destino e della storia; lei che, entrata clandestinamente a Regina Coeli, aveva baciato per l’ultima volta il marito morto ed era poi fuggita da Roma per raggiungere Firenze; lei che, con tre figli piccoli a carico aveva poi avuto la forza di ricominciare bussando alla porta dell’Einaudi, dove avrebbe intrapreso una carriera grazie alla quale avrebbe detenuto un ruolo e un potere editoriale fino a quel momento negato a qualunque altra persona del suo sesso. E se poi, il suo secondo marito, l’anglista Gabriele Baldini, le ha trasmesso quel po’di leggerezza e di ironia, che probabilmente hanno influenzato gran parte della sua produzione teatrale, è stato l’animo russo di Leone, incarnazione di quel “principe Sergio, biondo e bellissimo, che è scappato dalla Russia durante la Rivoluzione con dei segreti di Stato” e che, nella sua fervida immaginazione di bambina, si era sostituito a “i noi”, una “stirpe di nani insolenti e chiassosi” che la facevano piangere e ridere, è stato proprio quell’animo russo a riconoscere la sua vena creativa e a liberarla delle lacrime che le creavano un “groppo dentro”, incanalando le sue “caotiche emozioni” in quella forma artistica onesta e coerente, cui lei resterà fedele per tutta la vita. “Sono sano di te” diceva Leone, il “principe russo”, a Natalia, il cui nome, come quello dell’eroina di “Guerra e pace” di Tolstoj, ne faceva presagire l’incredibile destino.

E questo libro svela finalmente questo destino, ne scioglie i nodi e ne scopre il mistero; un libro che, con garbo e delicatezza, parla di letteratura esplorandola dal di dentro, dalla prospettiva dei suoi protagonisti, attraverso le voci di coloro che questa nostra letteratura l’hanno fatta davvero, con le lacrime, il sudore e il sangue; un libro che, con limpidezza e purezza d’intenti, regala al lettore un senso di appagamento e di completezza, una rinnovata e più lucida consapevolezza di chi siamo realmente e da dove veniamo.

 

 

 

17/07/2018





        
  



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